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Opera Arias and Organ Works

Artisti
Laura Capretti,mezzosoprano
Daniele Rinero, organo
Compositore
Georg Friedrich Händel (1822 - 1890)
Luogo
Chiesa parrocchiale di San Martino vescovo,
Mezzenile (TO)

Informazioni sull'album

«Alcuni si lamentano perchè le rose hanno le spine; io sono grato perchè le spine hanno le rose». Alphonse Karr «Perché registrare un disco su Händel?». Forse, per conoscere a fondo un musicista, l’unico modo è incontrarlo dentro la sua musica. Ci siamo così spogliati di ogni certezza interpretativa, affinché Händel potesse rivelarsi a noi. Dopo tutto lo studio filologico, solo quando si osserva un compositore con gli occhi di un bimbo, lo si scopre davvero. Togliere se stessi, per mettersi a servizio della musica. In un secondo momento, ci siamo chiesti cosa Händel potesse dire all’uomo contemporaneo, con coordinate storiche, geopolitiche e umane molto differenti dal ’700. La freschezza delle sue composizioni sembra svelarci un Händel molto contemporaneo. Ci parla, ci tocca ancora, ci interroga, ci scuote. Immediatezza e ricercatezza si intrecciano nelle sue partiture. Abbiamo dunque scelto di presentare delle trascrizioni per organo solo e delle pagine per voce e organo, facendoci guidare da una suggestione, insita nel titolo di un’aria di Handel: lascia la spina, cogli la rosa. Come si intrecciano la sofferenza e la pienezza nelle nostre esistenze e nella musica di questo compositore? Nella prima parte del cd, dunque, troviamo arie e brani solistici connessi alle spine e, nella seconda parte, alle rose. Il sipario si apre e si chiude sulla stessa melodia, ma con testo differente. Ci auguriamo che Händel possa toccare e parlare anche al vostro animo. Sentiamo di averlo incontrato almeno un po’. Ci ha trasformati. Forse, solo permettendoci di piangere la nostra crude sorte, di cantare le spine che la vita ogni tanto ci riserva, scopriremo che saremo in grado di cogliere la rosa. Le nostre esistenze sono chiamate non solo a vivere, bensì a fiorire. Sapremo allora essere grati perché le spine hanno le rose. Spine e rose, come parti della stessa pianta, le une indispensabili alle altre, affinché la nostra vita possa sbocciare sempre e in ogni circostanza. GUIDA ALL’ASCOLTO Lascia la spina Lascia che io pianga mia cruda sorte, è forse la più famosa aria di sempre. Narra del lamento di Almirena, rapita da Armida e messa in catene. Sospira la libertà per ricongiungersi al suo amato e promesso sposo Rinaldo, comandante dei crociati cristiani a Gerusalemme. In forma di sarabanda, quest’aria, caratterizzata da pause che mettono in risalto i sospiri della protagonista, è di una semplicità disarmante nell’espressione del desiderio di un’agognata libertà. La passacaglia in sol minore che chiude la suite n.7 per clavicembalo, viene qui presentata in una veste organistica. È caratterizzata dalla variazione continua di un tema presentato all’inizio del brano. Quindici variazioni ritmiche, melodiche e timbriche ci conducono a conoscere sotto vesti diversi lo stesso tema. Passacaglia (passa calle: passa per strada), ci invita a passare per le strade della vita, attraverso una radice che collega ogni diversità. Ah mio cor schernio sei, più che un’aria di vendetta della maga Alcina, quando scopre il tradimento dell’amato Ruggiero, sembra essere un lamento. L’esitante accompagnamento mette in luce il passaggio di Alcina da regina e maga seducente a innamorata disperata che, proprio a causa dell’amore, perderà i suoi poteri. Questo Andante conclude il primo dei sei concerti per organo e orchestra che l’autore scrisse. Ideati per intervallare gli oratori presentati al «Covent Garden» di Londra, hanno la caratteristica di avere l’organo solista, presentato come strumento più mondano. Fu Händel stesso a suonarlo, stupendo l’uditorio con la sua maestria, padronanza dell’armonia, fertilità di invenzione e grandezza di stile. Verdi parti, selve amene, narra l’addio di Ruggiero all’isola di Alcina. È probabilmente la pagina più famosa dell’opera, che ebbe talmente tanto successo da sortire ventitré repliche. Con l’aria Ombra mai fu e il suo recitativo iniziale si apre l’opera del Serse, dimenticata per duecento anni, dopo il fallimento iniziale. Qui Serse contempla le fronde del suo amato platano. Ricerchiamo anche noi il nostro posto sicuro, assaporandone il senso di protezione e soave pace che ci dona. Cogli la rosa Questa sinfonia decanta l’arrivo della Regina di Saba a Gerusalemme, durante il regno di Salomone. Brillantezza e vivacità aprono la seconda parte del programma dedicata alla pienezza di vita. Dopo notte atra e funesta è un’aria virtuosistica cantata dal valoroso principe Ariodante che ama Ginevra, la figlia del re di Scozia. Ci riporta al momento dopo le tempeste della vita, dove il sole ritorna a brillare e riempie la terra e il nostro animo di gioia. Hornpipe, tratta dalla seconda suite della «Water music» è musica eseguita da 50 musicisti su una barca per deliziare re Giorgio I e la sua corte sul Tamigi. Ci invita alla danza. Se in fiorito ameno prato ci porta in Egitto dove Cesare confessa con quest’aria il suo amore per Cleopatra, che si presenta nelle vesti di Lidia, una fanciulla del suo seguito. Manifesta la sua eccitazione nell’allegoria dell’ augellin che si nasconde tra fiori e fronde, consegnandoci l’ardore di un cuore innamorato. Zadok the Priest è un inno d’incoronazione scritto per re Giorgio II. Viene da allora eseguito ad ogni incoronazione di sovrano britannico. Zadok fu il sommo sacerdote che unse Salomone come re. Una scrittura omoritmica conferisce solennità al brano e invita alla celebrazione della vita. Si tratta di un’aria dell’Oratorio «Il Trionfo del Tempo e del Disinganno». A noi che cerchiamo il senso del nostro dolore, non resta che affidarci alla mano nascosta della vita. Solo fidandoci del nostro percorso saremo in grado di accogliere tutto ciò che essa ha da insegnarci e sbocciare, come un fiore, al momento giusto.

Organo Pacifico Inzoli

Compositore
Polibio Fumagalli (1830-1900)
Organo
Organo Pacifico Inzoli (1886)
Luogo
Basilica Cattedrale Maria Ss. delle Vittorie,
Piazza Armerina, (EN)

Informazioni sull'album

Polibio Fumagalli nacque a Inzago (Milano) il 26 ott. 1830, vi iniziò gli studi pianistici per proseguire successivamente presso il Conservatorio di Milano. Diplomatosi nel 1852 in flauto e composizione, svolse nel corso del 1853 attività di organista e maestro di cappella a Vimercate e il 12 marzo 1854 venne nominato maestro e organista della chiesa di S. Celso a Milano. Nel 1873 divenne professore di organo al Conservatorio di Milano, succedendo a Francesco Almasio: a quella data aveva già composto tantissima musica organistica, vocale e per vari organici ma la prima opera databile sicuramente post 1873 (riportante la dicitura «Professore d’Organo al R. Conservatorio di Milano») risulta la Scuola d’organo op. 223 a cui seguirà non molto tempo dopo l’Ascetica musicale op. 235. L’Ascetica Musicale è una raccolta di 15 brani divisi in tre libri da cinque, tra le più estese dell’autore, in cui riassume interamente il suo stile compositivo: il termine Ascetica non va interpretato in maniera letterale ma rimanda ad un’estetica musicale che si manifesta nel virtuosismo tecnico e timbrico, con temi musicali ora allegri, ora meditativi e uno spiccato gusto per l’effetto spettacolare. Il primo brano è un castigato Ripieno seguito dagli altri che passano in rassegna tutte le possibilità di un organo-orchestra (come quelli che aveva a disposizione a San Celso e in Conservatorio, entrambi strumenti di Bernasconi). I sottotitoli che Fumagalli stesso indica per ciascun brano sono indicativi del carattere del pezzo ma confermano l’idea che l’Ascetica Musicale sia un vero e proprio metodo tecnico e stilistico: a titolo esemplificativo, l’Imitazione è qualificata Studio per Flauto, la Meditazione è Obbligata al registro Violini nell’eco, il Pentimento è una Romanza per Clarone ed in mancanza Il Violoncello nei bassi coll’ottava bassa, l’Esultazione, è una Toccata con giuoco di terza mano, o pedali, la Danza degli astri è opportunamente sottolineata come Bizzarria, la Serenata è Per Corno Inglese, Con introduzione di Arpa e di Flauto e l’Alleluja finale è una Sonata brillante alla Marcia in Fa. Ogni gruppo di cinque brani chiude con sonorità forti e brillanti (Invocazione, Salve! e Alleluja,), suggerimento ai fini di un’esecuzione concertistica di eseguirli a blocchi di cinque alla maniera di una Suite. L’Ascetica Musicale è una raccolta esemplare in cui il compositore esplora tutte le possibilità espressive dell’organo ottocentesco ed indica una Piccola guida della registrazione per organo (qui ripordotta in calce ) ma l’opera, pur non rinnegando la tipica estetica ottocentesca, reca in sè tutti i germi della successiva ricerca compositiva che porteranno le più acute intelligenze organistiche italiane a rinnovare profondamente la musica organistica Italiana: ricordiamo che Marco Enrico Bossi e Pietro Alessandro Yon furono allievi di Polibio Fumagalli. Per ottenere tutti gli effetti richiesti in partitura, l’esecutore necessita di uno strumento con due tastiere, dovizia di registri solistici ad ancia e violeggianti ben caratterizzati oltre ad una cassa espressica efficiente per il secondo manuale. Il presente compact disc è stato registrato all’organo della Cattedrale di Piazza Armerina (EN) che risponde perfettamente a questi requisiti: costruito da Pacifico Inzoli nel 1886, suscitò una grande impressione presso i siciliani e venne inaugurato in grande stile: il collaudo durò ben tre mesi, venne affidato al bresciano Roberto Remondi il quale ne divenne anche organista titolare finché, nel 1892, iniziò la sua carriera didattica al Liceo Musicale di Torino come professore dell’appena nata classe di organo. Al Remondi successe un altro grande organista italiano dell’epoca, Giovanni Tebaldini, che si trasferì nel 1887 a Piazza Armerina e resterà organista della Cattedrale per nove mesi. L’organo Inzoli di Piazza Armerina è fortemente orientato timbricamente al futuro pur restando profondamente ancorato nello stile ottocentesco. L’Ascetica Musicale fu un chiaro punto di svolta stilistico per Polibio Fumagalli benchè, probabilmente, nacque come coronamento di un’idea e di uno stile musicale. Fumagalli continuò a cercare nuove vie e nuovi confronti: ottenne di farsi costruire una pedaliera di 24 note da Bernasconi sullo strumento del Conservatorio di Milano (dopo la «disastrosa» prova di Saint-Saens del 1879) ma che solo dopo il 1892 queste 24 note divennero reali e non ritornellate. Nel 1890 visitò Vienna, Praga, Dresda, Berlino, Lipsia Monaco di Baviera descrivendo i vari e differenti tipi di organi che incontrò durante il viaggio. Pur senza aderire del tutto alle istanze di riforma della musica sacra avanzate dal movimento ceciliano, Polibio Fumagalli sentì la necessità negli ultimi anni di un rinnovamento della propria produzione sacra; nel 1899, per motivi di salute, si dimise da S. Celso e lasciò l’insegnamento al Conservatorio. Morì a Milano il 21 giugno 1900. La riforma ceciliana comportò un rapido declino della fortuna musicale di Polibio Fumagalli ma oggi siamo perfettamente in grado di apprezzare il valore stilistico e formale della sua produzione organistica e di collocarla opportunamente in quel grande periodo di rinnovamento e di progresso che caratterizzò gli ultimi decenni del XIX secolo.

Altre notizie su questo CD
Registrato 2-3 Dicembre 2022, a Piazza Armerina (EN) (Italia)
Booklet 8 pagine a colori
Commento musicologico
Biografia artisti

Composizioni per Organo

Artista
Paolo Bottini, organo
Compositore
Giacomo Puccini (1858-1924)
Luogo
Chiesa parrocchiale di Sant’Andrea apostolo,
Pavone Canavese (TO)

Informazioni sull'album

La presente registrazione raccoglie quelle composizioni per organo di Giacomo Puccini che non sono state incise nella prima edizione discografica assoluta che il caro compianto collega Liuwe Tamminga aveva consacrato al pressoché misconosciuto repertorio organistico del compositore lucchese (c.d. Passacaille PAS1029, 2017), tutt’oggi assente dalle non poche manifestazioni concertistiche d’organo sparse per il «bel Paese là dove il sì suona». Si deve all’impegno musicologico del Centro Studi Giacomo Puccini di Lucca se tra il 2015 e il 2017 è tornata alla luce buona parte di queste composizioni per organo, nel frattempo sparpagliate in collezioni diverse. I complessivi 57 pezzi originali per organo composti tra il 1870 e il 1880 circa, all’epoca in cui il giovane studente di musica prestava servizio liturgico in qualità di organista a Lucca e in paesi limitrofi, sono stati infine pubblicati, a cura di Virgilio Bernardoni, nel volume II/2.1 della Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini (Carus-Verlag 56.003). Se il ventiduenne Giacomo non si fosse trasferito a Milano per completare gli studi, probabilmente la sua fama non avrebbe travalicato i confini lucchesi, contribuendo ad incrementare la stirpe dei Puccini organisti e maestri di cappella in Lucca (il padre Michele fu organista del Duomo di San Martino fino alla prematura scomparsa nel gennaio del 1864, ma già il trisavolo Giacomo senior occupava il medesimo posto dal 1740), avendo egli studiato, tra l’altro, organo presso l’istituto musicale “Pacini” di Lucca dal 1873 al 1877 (ove si distinse pure con l’assegnazione di un primo premio nel settembre del 1875), ma sicuramente organista liturgico di mestiere se già all’inizio del 1873 era in grado di sostituire lo zio Fortunato Magi nella chiesa di San Girolamo, attività questa che svolse, regolarmente stipendiato, fino alla fine del 1882, non solo, ma fin dai primi anni Settanta l’adolescente Puccini suonava l’organo durante i mesi estivi a Mutigliano, piccola frazione a 6 chilometri a nord di Lucca. La madre stessa, Albina Magi, intervenne più volte presso la Fabbriceria della Cattedrale di Lucca affinché il promettente organista, ormai «abilissimo a disimpegnare l’ufficio» (così Carlo Marsili, direttore dell’Istituto Pacini), venisse finalmente assunto quale titolare... Ma in Duomo Puccini non svolse altro che incarichi occasionali in qualità di organista supplente, in quanto considerato non ancora maturo per ricoprire stabilmente un ruolo che presupponeva anche competenze in materia di composizione, fino a quando, dopo il 1883, veniva chiaro al giovane musicista stesso, ormai residente a Milano, che la carriera musicale poteva aprirgli migliori opportunità di lavoro grazie alla musica orchestrale ma soprattutto operistica, benché anche lassù non ritenne inutile prender altre lezioni d’organo private. Venendo alle composizioni comprese in questa produzione discografica, è fuor di dubbio che brani come i versetti abbiano esclusiva applicazione liturgica (concepiti per la pratica dell’alternanza tra coro e organo nelle parti dell’Ordinario della Messa e negli inni e Magnificat dei Vespri) assieme ad altri brani esplicitamente destinati ad accompagnare l’Offertorio, l’Elevazione e il Postcommunio, ma non vi sono testimonianze precise sulla destinazione effettiva di diverse composizioni (come quelle, senza titolo, nelle tracce 30 e 31) che, scritte per uso proprio o altrui, potrebbero essere semplici esercizi di stile o exempla didattici più che creazioni destinate al precipuo uso liturgico, dato anche il fatto che per il disbrigo degli uffici l’organista di chiesa, come da secolare tradizione, si affidava alla ben radicata pratica della creazione estemporanea. Dunque la genesi di questi pezzi scaturisce dal decennio di regolare attività di organista liturgico di Giacomo Puccini, nonché dalle lezioni da egli impartite tra il 1874 e il 1878 a tal Carlo Della Nina (1855-1918), di professione sarto, che svolgeva servizio d’organista presso la chiesa di San Giusto in Porcari, tutte attività nelle quali l’ormai famoso compositore d’opere liriche si giudicava non particolarmente eccellente: «Pensa cosa avrei potuto fare io se non indovinavo il Terno al Lotto delle mie opere! non ero buono a nulla altro. – insegnare? che cosa? – o se non so nulla, io – suonare l’organo? sì, con quella mano agile che mi rimpasto! maestro di banda? Avrebbero finito per suonarmi il tamburo sulla pancia, con quella autorità che ho». (Puccini a Carlo Paladini, 26/11/1920). Nella sua carriera di organista a Lucca e dintorni il giovane Puccini aveva a disposizione strumenti tipici di scuola toscana: basati su un Principale di 8 piedi, con unica tastiera di 45 tasti e prima ottava corta, piccola pedaliera a leggìo che comandava non più di dodici canne di Contrabassi di 16 piedi, con pochi registri “da concerto” (Cornetto, Trombe); le sue composizioni, brillanti e tutt’altro che castigate, per niente influenzate dalla «ricerca estetico-religiosa di uno stile liturgico acconcio, già in atto al tempo dei primissimi esordi pucciniani, e poi incentivata con intransigente esclusivismo religioso nell’ultimo quarto del secolo dal “movimento ceciliano”» (Bernardoni), recando vivide tracce del coevo gusto teatrale, si prestano ad essere “concertate” anche su organi di più ampia mole, come quello, veramente sontuoso, appartenente alla scuola organaria lombarda ottocentesca, che si può ascoltare nella presente incisione, edificato nel 1855 da Felice e Giacomo Vegezzi-Bossi» Ancora Virgilio Bernardoni ci fa notare che «a fronte della dispersione nelle mani di organisti di paese di un numero così elevato di manoscritti, è singolare – e per quel che se ne sa inspiegabile – il fatto che Puccini abbia conservato per sé il manoscritto dell’unica Pastorale attestata [quella dal curioso titolo di Pastorella gravida] e quelli di composizioni che opportunamente ordinate potrebbero formare una Messa per organo completa [come in questa edizione discografica si è pensato appunto di realizzare], con le serie di Versetti per il Kyrie (i numeri 48–51) e il Gloria (i numeri 52–55) e i brani liberi per Offertorio (n. 46), Elevazione (n. 56) e Postcommunio (n. 47). Non è neppure da escludere l’ipotesi che si tratti di lavori che egli scrisse durante il periodo di studio a Milano. […] Fra i brani della Messa, i Versetti [sono caratterizzati dal] gusto della varia combinazione di un numero limitato di caratteri musicali, però con l’incremento della retorica introduttiva nel n. 48, l’innovazione di una cantabilità austera nel Tempo di Fuga n. 49, la fresca miniatura in ritmo di polacca nel n. 54 e il florilegio di motivi sincopati nei numeri 50 e 51. Le Sonate libere, invece, sono fra i brani di maggiore impegno compositivo di tutto il repertorio pucciniano. Un impegno che nell’Offertorio si qualifica per l’estensione e che nell’Elevazione, invece, stupisce per l’intensità espressiva: sotto questo punto di vista, infatti, il quasi recitativo strumentale delle prime 29 misure dell’Elevazione segna un vertice della creatività del primo Puccini». Al lettore desideroso di conoscere approfonditamente il Puccini organista e il mondo organistico da egli frequentato con assiduità per un decennio del periodo della sua formazione musicale, suggeriamo di leggere il volume Giacomo Puccini organista / Il contesto e le musiche a cura di Fabrizio Guidotti uscito nel 2017 per i tipi di Olschki in cui, oltre ai saggi di Aldo Berti, Gabriella Biagi Ravenni e dello stesso Guidotti, è ospitato quello di Luigi Ferdinando Tagliavini su Giacomo Puccini e l’organo.

Altre notizie su questo CD
Registrato 29-31 Giugno 2022, a Pavone Canavese Torino (Italia)
Booklet 8 pagine a colori
Commento musicologico
Biografia artisti

Messe Solennelle in La Maggiore

Artisti
Coro Eufoné
Alessandro Ruo Rui,direttore
Gianfranco Luca, organo
Linda Veo, arpa
Valentina Fornero, violoncello
Federico Bagnasco, contrabbasso
solisti: Rossella Giacchero, Stefano Gambarino, Mauro Barra
Compositore
César Auguste Franck (1822 - 1890)
Luogo
Chiesa di San Carlo Borromeo,
San Carlo Canavese (TO)

Informazioni sull'album

La Messe à trois voix» op.12 M.61 per soprano, tenore, basso, organo, arpa, violoncello e contrabbasso di César Franck, viene eseguita per la prima volta nel 1861 nell’Église Sainte-Clotilde di Parigi in una versione che utilizza l’orchestra. Ma la diffusione del lavoro passa attraverso la riduzione, operata dallo stesso autore nel 1865, dedicata all’organo con la conservazione delle caratteristiche presenze dell’arpa, del violoncello e del contrabbasso. Nel 1872 C. Franck opera l’ultima revisione del lavoro in vista dell’edizione Borneman e sostituisce il mottetto eucaristico O Salutaris Hostia, dedicato al solo di basso, con il Panis angelicus affidato alla voce acuta di soprano o tenore, semplicemente definita in partitura “chant”. La versione del 1872 raccoglie anche una ridefinizione delle parti affidate all’arpa, frutto evidentemente dell’esperienza compositiva del Nostro ed anche delle mutanti sperimentazioni costruttive che tale strumento vede applicate. La Messa è perciò definita in sei parti: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Bene- dictus, Panis angelicus, Agnus Dei. La collocazione di un brano eucaristico prima dell’Agnus che apre i riti di comunione sembra rispondere ad una consuetudine che colloca la litania al- l’Agnello di Dio come gesto conclusivo della composizione sacra nell’insieme (si veda l’analogia con la notissima Petite Messe di Rossini). Ogni brano sviluppa una propria identità tematica e tonale. Il Kyrie affida al timbro tenorile il tema principale che poi passerà ad una riesposizione corale. Il Christe, secondo tradizione, introduce elementi di più forte pathos appog- giandosi ad una ricerca armonica maggiormente densa. La terza invocazione Kyrie riprende il tema iniziale, lo porta ad un culmine e, richiamando dolcemente i profili della parte centrale, dona al brano una perfetta forma tripartita. Il Gloria, con una scelta timbrica inequivocabile, esordisce con il timbro dell’arpa, a richiamare i riferimenti lucani all’inno degli angeli nella Natività. Il coro ascende in arpeggi, le armonie si ampliano e l’organo entra a solennizzare la prima acclamazione. Appaiono poi varie formule melodiche (ora ampie come un’aria d’opera, ora guizzanti come inserti strumentali) nelle acclamazioni al Padre onnipotente. Con grande sapienza liturgica e ottima scelta formale l’invocazione a Cristo modera le dinamiche per aprire un tempo ternario ove la litania penitenziale affida i temi al timbro del violoncello e del tenore solista prima di passarli al tessuto corale. Con un tipico procedimento elaborativo proprio di C. Franck, le linee melodiche della parte centrale diventano il brillante tema conduttore del finale, dove il testo dossologico viene ampiamente ribadito da varie elaborazioni dei profili tematici, sempre variati e pure riconoscibili. Con acuta sintesi il termine “gloria”, presente nelle finali acclamazioni, viene legato al colore dell’incipit. Nel successivo Credo la tipica capacità franckiana di permutazione e ciclica riproposizione dei temi trova una applicazione sorprendente proprio perché lega sapientemente alcune espressioni chiave nella proclamazione di fede. In particolare si scorge un profilo melodico dapprima nascosto nelle maglie dell’accompagnamento strumentale, poi evidentissimo nella dolcezza e nei registri acuti dell’et incarnatus e subito sprofondato nei registri gravi durante l’attonita staticità del passus et sepultus est. Singolare poi è la sommessa staticità del proclama della resurrezione: non un improvviso cambio di colori,come nella più diffusa tradizione, ma una ascesa armonica, dinamica e timbrica che si prolunga fino alla forza con cui si acclama all’eternità del Regno di Cristo. A questo punto il tema prin- cipale, fattosi incisivamente e giocosamente binario, sosterrà le successive affermazioni di fede in strette combinazioni canoniche o in ripercussioni modulanti, alternando due cifre compositive tipiche del Nostro autore: l’elegiaca stasi tonale che afferma con candore una tonalità a sostegno di imitazioni tematiche e, d’altra parte, la fitta serie di risoluzioni armoniche eccezionali che modulano vertiginosamente. Il tema principale chiuderà anche il brano in una imponente sottolineatura delle verità escatologiche. Il Sanctus, con una sensibilità romantica che sarà comune a tante espressioni del successivo cecilianesimo, si apre su toni soffusi. Le sonorità deflagrano nelle espressioni Pleni sunt coeli et terra gloria tua e nei successivi Hosanna. Senza soluzione di continuità giunge il Benedictus che è delicato ed essenziale, affidato alle voci femminili mentre, quasi da lontano si annunciano i potenti Hosanna con cui il brano si chiuderà maestosamente. Nel Panis angelicus, brano che gode di una notorietà immensa e che nel tempo ha visto innumerevoli trascrizioni ed elaborazioni, ritornano in evidenza il timbro del violoncello, a segnare introduzione e controcanto, e dell’arpa che tesse l’accompagnamento lasciando all’organo lo sfondo armonico. Si tratta dell’unico testo non facente parte dell’Ordinarium Missae e, trattandosi di un mottetto eucaristico, è probabile che accompagnasse la consacrazione recitata a bassa voce dal celebrante. L’Agnus Dei, triplice invocazione (due volte richiesta di perdono, poi invoca- zione al dono della pace) è affidato alle tre voci soliste con una sobria riproposizione in varie tonalità di un elegante melodia di sapore modale. Sulla terza invocazione giunge prima sommessamente, poi appassionatamente, l’intervento del coro ma qui il riapparire dell’arpa, che infine sosti- tuisce la presenza dell’organo, conduce ad una dolce e serena conclusione. Le scelte esecutive che guidano la realizzazione dell’opera da parte del Coro Eufoné si rifanno alla versione definitiva del lavoro. La scrittura delle parti vocali declinata su tre sezioni (talvolta divise) presenta delle importanti divaricazioni tra le due parti di tenore e soprano. Si sono a tale proposito confrontate altre edizioni – alcune assai datate, altre più recenti – dedicate ad un coro a 4 parti ma si è rispettata la trama polifonica originale, giusto evidenziando maggiormente il timbro delle voci di mezzosoprano in passaggi che ne valorizzassero il ruolo. Per alcuni passaggi strumentali è stato illuminante il confronto con la prima versione: la parte di contrabbasso è stata affidata in alcuni passaggi anche al violoncello, soprattutto quando si affranca dal ricalco delle parti gravi dell’organo. La parte organistica, somma delle intuizioni e delle sovrapposizioni originalmente distribuite all’orchestra, risulta alquanto densa e impegnativa. Al violoncello sono stati anche affidati brevi spunti imitativi nel dialogo con il soprano durante l’et incarnatus del Credo. La presenza dei solisti vocali è intesa come emersione delle prime parti in un contesto di insieme. Nondimeno alcuni passaggi della partitura lasciano intuire una condotta più trasparente dei temi e in tali casi sono stati affidati alle voci dei solisti. La registrazione giunge come culmine di alcuni concerti realizzati proprio nel 2022, doppio anniversario del 200° dalla nascita di César Franck e del 150° della versione definitiva della Messa. Tra gli organi presenti nel territorio del ciriacese, ove è nato il progetto, si è scelto lo strumento della chiesa par- rocchiale di San Carlo Canavese, rispondente timbricamente allo stile del compositore belga.

Opera Arias and Concertos

Artisti
Cristina Mosca, soprano
Ensemble Andromeda
Francesco Bergamini,violino di spalla
Joanna Crosetto, violino
Nina Przewozniak, violino
Gabriele Cervia, violino
Alessandro Curtoni, viola
Lamberto Curtoni, violoncello
Roberto Stilo, contrabbasso
Francesco Olivero, tiorba
Matteo Cotti, clavicembalo
Compositore
Antonio Vivaldi (1678-1741)
Luogo
Chiesa Sant'Eligio Vescovo,
La Mandria di Chivasso (TO)

Informazioni sull'album

Il genere del concerto strumentale, nelle sue due declinazioni di concerto solistico e concerto grosso, caratterizzate rispettivamente dalla contrapposizione tra uno strumento solista o un gruppo di strumenti (detto concertino) e il resto della massa orchestrale, si sviluppa nella seconda metà del Seicento ed è una delle più importanti e storicamente rilevanti conquiste del Barocco strumentale italiano. Portato a un primo culmine del suo sviluppo da compositori quali Arcangelo Corelli, Giuseppe Torelli e Tomaso Albinoni, il genere si evolve fino a raggiungere il suo vertice assoluto nell’opera di Antonio Lucio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741). Quest’ultimo codifica il genere del concerto solistico strutturandolo secondo un impianto costituito, nella maggior parte dei casi, da tre movimenti. I due movimenti esterni sono vivaci e sono caratterizzati dall’alternanza tra solo e tutti e dal notevole impegno virtuosistico richiesto al solista; tra di essi è incastonato un movimento lento improntato all’espansione melodica e alla cantabilità. I dodici concerti inclusi nella raccolta L’estro armonico, pubblicata nel 1711 ad Amsterdam dall’editore Estienne Roger, rappresentano la punta di diamante della produzione concertistica vivaldiana. Il titolo della raccolta è programmatico e allude al desiderio di conciliare due spinte opposte: da una parte quella impressa dalla fantasia creatrice, e dall’altra quella imposta dall’osservanza di severe regole strutturali in ambito formale e ar- monico. Il desiderio di dare un preciso ordine alla raccolta emerge anche nella sua organizzazione architettonica, che prevede una ripartizione dei dodici concerti in quattro gruppi di tre concerti ciascuno: uno per violino, uno per due violini (o per due violini e violoncello) e uno per quattro violini (o per quattro violini e violoncello), secondo un calcolato gioco di simmetrie e corrispondenze interne. In questo ambito, i concerti a più strumenti soli costituiscono un’estensione del concetto di concerto solistico e, in particolare, quelli per due violini e violoncello rappresentano un inedito innesto (o ibrido) tra questo genere e quello del concerto grosso, di cui il trio formato dai due violini e il violoncello costituisce il concertino. In questo senso L’estro armonico rappresenta il luogo in cui le precedenti esperienze in ambito strumentale convergono e vengono portate alla perfezione. Non è un caso che alcuni concerti di questa raccolta abbiano suscitato l’interesse di Johann Sebastian Bach, che ne realizzò ben tre trascrizioni (o meglio, elaborazioni) per clavicembalo, due per organo e una per quattro clavicembali, archi e basso continuo. Questo da una parte ci dà una misura della stima e dell’ammirazione di cui Vivaldi godeva presso i suoi contemporanei, e dall’altra rimarca quanto quest’opera rappresenti un ponte tra passato e futuro: il genere del concerto strumentale “all’italiana”, esportato al di fuori dei confini nazionali, si evolverà infatti successivamente fino a plasmare il linguaggio sinfonico classico portato al massimo splendore dai compositori della Prima Scuola di Vienna (segnatamente, da Haydn e da Mozart). Una porzione minoritaria dei concerti di Antonio Vivaldi è costituita da composizioni destinate alla sola orchestra d’archi (con basso continuo), senza il coinvolgimento di strumenti solisti. Uno degli esemplari più celebri è dato dal Concerto “alla rustica”, articolato secondo la classica scansione in tre movimenti: a un primo tempo caratterizzato da un andamento di danza, seguono un secondo tempo lento e maestoso realizzato con una impressionante economia di mezzi, e un movimento finale dal carattere festoso e popolaresco che sembra giustificare il titolo attribuito al concerto. Se una parte significativa della produzione vivaldiana è costituita dalle composizioni strumentali e concertistiche, non meno importante è il versante occupato dalle opere vocali: i melodrammi da lui composti occupano in quest’ambito un posto di rilievo, anche se, dei circa cinquanta titoli di cui si ha testimonianza, la metà è da considerare perduta in parte o in toto. Le trame di queste opere attingono spesso al vasto serbatoio di vicende tratte dalla mitologia e dalla storia antica (come nel caso del dramma per musica Arsilda, regina di Ponto) o dai romanzi medievali (Orlando finto pazzo e Orlando furioso); talvolta l’ambientazione è esotica: è il caso del dramma per musica La verità in cimento, la cui vicenda si svolge nell’oriente ottomano. L’impianto dei melodrammi vivaldiani è improntato all’alternanza tra recitativi e arie (o analoghi numeri chiusi destinati a un ensemble invece che alla voce sola): mentre lo scopo dei primi è quello di far scorrere velocemente la vicenda, le seconde forniscono l’istan- tanea di un dato snodo della trama e per questo congelano l’azione in quel parti- colare momento. Una caratteristica tipica dell’opera barocca riguarda l’autonomia nei rapporti tra compositori e librettisti: così, un dato libretto poteva essere (e di fatto era) messo in musica da diversi compositori (e si tratta di una pratica che è sopravvissuta almeno fino alla fine del Settecento); in maniera analoga, un compositore poteva disinvoltamente adat- tare la musica composta per l’aria di una data opera a un passo del libretto di un’opera diversa o, addirittura, utilizzare la stessa aria in opere diverse. È il caso, per esempio, dell’aria Amato ben, tu sei la mia speranza, che Vivaldi ha utilizzato nei due drammi per musica La verità in cimento ed Ercole su’l Termodonte. Le vi- cissitudini legate a questa aria, tuttavia, non si esauriscono qui, perché il materiale melodico che la costituisce è stato anche riutilizzato (o, meglio, trasfigurato, alla luce delle differenti esigenze imposte dal genere strumentale) nel Concerto in do minore per violino, archi e basso continuo RV761. Danilo Karim Kaddouri

Guitar Works of Robert W. Butts

Artista
Stanley Alexandrowicz chitarra
Compositore
Robert W. Butts
Luogo
Cortland, NY, USA

Informazioni sull'album

The Early Morning Suite è stata la mia prima composizione per chitarra classica. Essendo un musicologo con un interesse per la musica barocca, mi sono ispirato alla musica di Bach, Weiss e altri. Lo si nota nei due movimenti centrali, basati su danze barocche: Bourrée e Minuet. Il Bourrée è chiaramente modellato sull’esempio di Bach, dove ho cercato di far risuonare la musica barocca sia nella trama che nella struttura più contemporanea nel suono. Il Minuetto è più simile ad una ballata che ad una danza e, come potrete sentire, ci trasmette una sensazione di bellezza sensuale. Il Preludio è similmente ispirato a quelli di Bach, ma con ritmi che sono tipici delle chitarre e dei suoni di compositori dell’era romantica successiva, con i quali ho voluto trasmettere un’energia crescente e costante. Il Finale è legato al Preludio, sia nella trama che nel ritmo, ed ho voluto così rendere omaggio a tutti quei compositori di chitarra che mi hanno sempre ispirato. La suite è stata presentata in anteprima da Stanley Alexandrowicz durante il BONJ Summer Music Festival il 9 agosto 2015 a Grace Church, Madison, New Jersey, USA. I Canti di Venezia è ispirato alle mie numerose visite alla città di Venezia, ed il brano si può suddividere in tre parti distinte, che ci conducono attraverso una tipica giornata nelle calli. Si comincia con una tranquilla e piacevole mattinata, ma improvvisamente irrompe un temporale con pioggia e vento, che provoca l’innalzamento delle acque del Canale: la famosa “Acqua alta”. Il temporale poco dopo passa e ci godiamo una piacevole serata. Il secondo movimento è un tema con variazioni ispirate ai ritmi tipici dei canti romantici dei Gondolieri. Nel finale, dal titolo “Masquerade”, non vuole essere una rappresentazione di un evento o di una festa particolare, ma intende catturare ed esprimere il senso di eccitazione e sensualità che si incontra nelle strade veneziane. La musica in questo pezzo è esuberante e piena di vibrazioni e arpeggi, che ci ricorda che la festa fa da sempre parte di Venezia, come si può vedere dai tanti negozi pieni di bellissime maschere colorate. Dedicato a Stanley Alexandrowicz, i “Canti di Venezia” venne da lui eseguito in anteprima il 12 novembre 2021 al Sanctuary Arts and Culture Center del 1867, Ewing, New Jersey. Tombeau in Memoriam Václav Kučera fu commissionato da Stanley Alexandrowicz, a cui è anche dedicato. L’ho composto in onore di Václav Kučera, il grande compositore ceco, dopo aver sentito il Maestro Alexandrowicz eseguire il “Concerto Imaginativo” di Kučera con la mia orchestra alcuni anni prima. Studiando la partitura di Kučera ed ho preso ispirazione dallo stile di quella composizione. Il brano è rapsodico con diversi passaggi e con segmenti contrastanti, che però si uniscono per creare un tutto. La musica si muove liberamente da un segmento all’altro, a volte con grande energia e a volte fermandosi in maniera riflessiva. I motivi si sviluppano modificando le voci di arpeggi e melodie, passando da un’idea astratta a un’idea nuova ma sempre collegata. Come in molti dei miei lavori per chitarra, ho cercato di creare armonie derivate dalle sei corde – E-A-D-G-B-E trasposto e alterato cromaticamente in modo che un accordo in un punto potesse essere quelle sei note, ma in un altro punto potrebbe avere un G# o un Bb e può essere ascoltato come un arpeggio o strimpellato. “The Tombeau” è stato presentato in anteprima da Stanley Alexandrowicz il 29 marzo 2018, presso l’Haebler Memorial Chapel del Goucher College di Baltimora. Impresiones inspiradas por las pinturas de Luis Martinez Piar è un insieme di quattro movimenti collegati da un breve tema motivico, come se si visitasse la mostra di una galleria d'artista. È simile ai Quadri di una mostra di Mussorgsky nell'uso del motivo di collegamento. Tuttavia, i quattro movimenti vogliono essere impressioni ispirate al gruppo di dipinti. Non raffigurano o illustrano dipinti specifici. Riguardano più gli stati d'animo e i sentimenti sviluppati dalle conversazioni con Luis e dal mio godimento del suo lavoro, nonché dalle impressioni generali osservando le sue opere collettive. Alcuni passaggi sono contrassegnati come "percussivi" e sono pensati per essere suonati con delicati colpi ritmici sul corpo della chitarra. In molti punti, ho annotato accordi che devono essere diteggiati durante il tapping, producendo così vibrazioni delicate delle corde. La composizione è in quattro movimenti distinti, incorniciati da temi del movimento di apertura che ritornano e uniscono l'opera. Ci dovrebbero essere pause molto minime tra i movimenti; l'impressione dovrebbe essere di spostarsi tra una mostra o forse di guardare il dipinto a memoria. Ogni movimento si basa su un ritmo habanera vario. Il pezzo è dedicato a Luis Martinez Piar e Stanley Alexandrowicz ed è stato presentato in anteprima da Stanley l'8 dicembre 2019 al The Madison Community Arts Center, nel New Jersey, un evento organizzato in collaborazione con LatinX ConneXiones.

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Registrato Agosto 2021
Booklet 12 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Biografia artisti

A placar la mia bella & other Cantatas

Artista
Renato Criscuolo, violoncello solista e direzione,
Baltazar Zúñiga, tenore
Vincenzo Bianco e Giuseppe Grieco, violini barocchi
Dario Landi, tiorba e chitarra barocca
Alessandro Rispoli, clavicembalo
Compositore
Alessandro Scarlatti (1660-1725)
Luogo
Roma (RM) Italia

Informazioni sull'album

Tra i registri vocali destinatari di cantate, quello di tenore è sempre stato decisamente il più svantaggiato: se si contano, in tutta l’epoca barocca, un’infinità di cantate per soprano, molte cantate per contralto, nonché un discreto numero di cantate per basso, le cantate per tenore costituiscono davvero una rarità, anche all’interno della produzione di quei compositori che hanno fatto della cantata vocale da camera la propria palestra e/o il proprio laboratorio sperimentale per approcciarsi meglio ai generi più alti dell’opera e della musica sacra. Lo scarno repertorio cantatistico italiano (oltre all’autore da noi affrontato, vi sono pochi altri lavori di Giovanni Maria Bononcini, Maurizio Cazzati, Pirro Albergati Capacelli, Francesco Negri e altri) destinato alla più acuta tra le voci maschili è ascrivibile perlopiù agli anni a cavallo tra il XVII e XVIII secolo, periodo assai importante per l’evoluzione del genere, che stava trasformandosi dalle lunghe forme “aperte” del Seicento, costituiti da un susseguirsi di ariosi, recitativi e arie perlopiù strofiche, verso le forme chiuse di una serie di due o tre arie, inframmezzate da recitativi. Questo percorso evolutivo ben si evidenzia nella lunga produzione del grande compositore palermitano Alessandro Scarlatti (1660-1725), che si è svolta per l’appunto negli anni che vedono la lunga e frammentaria cantata secentesca evolversi nella più razionale, snella e coincisa versione del Settecento. Della non abbondante produzione scarlattiana si annoverano sette cantate per tenore (se ne contano circa 500 per soprano), l’unica nota è quella in dialetto napoletano Ammore brutto figlio di pottana (che può essere cantata anche da un soprano), non inclusa per questo nel presente album. Tutte le altre cantate provengono da un unico manoscritto, conservato Bibliothèque National de France di Parigi, e contenente anche altre cantate di autori coevi. Due di queste cantate – le più strutturate- presentano due parti di violino oltre alla voce solista e al continuo: Lagrime dolorose agli occhi miei e Mi contento così: entrambe narranti storie di amori infelici, ricalcano una struttura ancora fondamentalmente secentesca, anche se la suddivisione tra recitativi ed arie appare già abbastanza chiara, sebbene le arie riprendano ancora una struttura strofica. Molto simili tra loro come struttura sono le due cantate, invero più scherzose e di argomento frivolo Per destin d’ingrato amore e A placar la mia bella, in cui il tenore è accompagnato dal solo basso continuo: entrambe sono strutturate in una serie di arie seguite da un ternario finale, che conclude in maniera agile il pezzo. Diversi per natura sono i restanti due pezzi, la splendida canzonetta Due guance vezzose, ricca di arditezze armoniche, e Larve e fantasmi horribili, dal sapore decisamente operistico (non si esclude provenga dalla sterminata produzione teatrale del grande palermitano e si invocano studi musicologici più precisi a riguardo). Quanto alla vocalità di queste cantate, Scarlatti si ispira ai grandi maestri del secolo XVII, Monteverdi, Cavalli e Legrenzi, sfruttando al meglio la tessitura centrale del registro tenorile e riservando il registro acuto solamente per gli affetti di dolore e stupore. Quello che Scarlatti sembra cercare dalla voce di tenore è una certa aderenza alla realtà, che spesso fa il paio con lo scarso peso drammatico che il compositore, come tutti i suoi colleghi contemporanei, dà alla voce. In un contesto sonoro abituato all’artificiosità e alla brillantezza del mondo surreale dei castrati, il registro medio, usato prevalentemente nella zona centrale, dà un senso di quotidianità, sia nelle atmosfere dimesse delle cantate coi violini, sia in quelle più buffe e simpatiche di A placar la mia bella e Per destin di ingrato amore, rivelando anche un buon grado di lirismo nella canzonetta Due guance vezzose. A queste cantate per la voce di tenore ci è sembrato bene abbinare, quali intermezzi, le tre splendide sonate per violoncello e basso continuo, che riprendono in chiave strumentale il registro tenorile, alternandolo a quello di basso. Tra le migliori produzioni strumentali del compositore siciliano, rappresentano una delle prime raccolte destinate a uno strumento relativamente nuovo, evolutosi dal basso di violino negli ultimi anni del XVII secolo in area emiliana, grazie all’invenzione delle corde basse filate, che resero possibile la riduzione delle dimensioni dei grandi bassi del Seicento. Se fu tra Bologna e Modena che lo strumento nacque e si sviluppò, furono i grandi virtuosi napoletani a farlo conoscere in tutta Europa, primo fra tutti il Francisciello, soprannome di Francesco Alborea, eminente virtuoso di violoncello per il quale questi pezzi furono probabilmente scritti. Al contrario delle cantate, scritte probabilmente da uno Scarlatti giovane, o comunque ammiccante a forme più arcaiche, le sonate appartengono all’ultima parte della sua produzione, sia a causa della destinazione strumentale (il violoncello apparve a Napoli negli anni ’10 del XVIII secolo), sia per la forma, già divisa in quattro movimenti. Gli ultimi movimenti della prima e della terza sonata sono delle brevissime tarantelle, con le quali il compositore, famoso ormai in tutta Europa, sembra non rinunciare alle sue origini meridionali. Renato Criscuolo

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Registrato Settembre 2021, Oratorio dei padri Barnabiti, Roma (Italia)
Booklet 10 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Il Fulmine son io & other Cantatas

Artista
Mauro Borgionibaritono
Paolo Perrone, violino
Rebeca Ferri,violoncello
Francesco Tomasi, tiorba
Salvatore Carchiolo, clavicembalo
Compositore
B. Pasquini (1637-1710)
Luogo
Spello (PG) Italia

Informazioni sull'album

Per lungo tempo la figura di Bernardo Pasquini è stata associata a quella del “virtuoso di clavicembalo”, lasciando in ombra la figura del compositore che già al suo tempo aveva conquistato un’indiscussa fama con una ricca produzione di opere, oratori e cantate. Soltanto in tempi recenti, grazie pure a nuovi studi sulla sua biografia, si è cominciato a prestare attenzione alla sua musica non tastieristica. Grande interesse hanno suscitato gli oratori, ormai tutti rieseguiti e registrati, ma altrettanto non può dirsi delle opere e delle cantate, raramente incluse nel repertorio degli specialisti di musica antica. Tali asimmetrie nella recezione della musica di Pasquini si spiegano probabilmente con la grande enfasi posta, per lungo tempo, sulla sua attività di organista e clavicembalista. Nato il 7 dicembre 1637 a Massa in Valdinievole (Pistoia), Pasquini, verso il 1650, si trasferì, insieme con uno zio sacerdote, a Ferrara, dove studiò e fu organista della locale Arciconfraternita della Morte. Sul finire del 1655 si trasferì a Roma, dove ebbe il posto di organista in alcune importanti chiese: prima a Santa Maria in Vallicella e poi a Santa Maria Maggiore. Ma il successo della sua carriera si deve soprattutto ai rapporti che lo legarono dapprima al cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII, e poi al principe Giovan Battista Borghese, al cui servizio rimase dal 1667 al 1692, per passare poi alle dipendenze del figlio di quest’ultimo Marcantonio principe di Rossano, dal 1693 alla morte, che lo colse a Roma il 21 novembre 1710. Pasquini riuscì ad imporsi come uno dei maggiori operisti attivi nei teatri romani, ma anche a lavorare per importanti figure dell’aristocrazia, fra cui i cardinali Benedetto Pamphilj, Flavio Chigi e Pietro Ottoboni, la regina Cristina di Svezia e l’ambasciatore spagnolo Luís Francisco de la Cerda duca di Medinaceli. Nell’ambito della sua vasta produzione, le cantate rappresentano ancor oggi un territorio pressoché inesplorato dai musicisti. Tale corpus comprende una settantina di pezzi, di cui cinquanta a voce sola, in larga parte risalenti a un arco di tempo che va all’incirca dal 1672 al 1691. Molte delle cantate furono concepite per le esigenze della corte dei Borghese e quelle di altri nobili committenti: quelle di soggetto spirituale erano eseguite per la settimana santa o per la novena di Natale; quelle di soggetto morale o storico erano destinate alle riunioni accademiche; ma la maggior parte di esse era destinata a occasioni d’intrattenimento dei nobili nei palazzi di città o nelle ville nei dintorni di Roma, durante le villeggiature primaverili o autunnali, o per le grandi battute di caccia durante l’inverno. Della produzione pasquiniana ci sono pervenute sei cantate per basso e basso continuo, di cui cinque incluse in questa registrazione. La cantata Era risorta invano è nota anche con il titolo L’ombra di Solimano. Ciò permette di datarla al 1686 o poco dopo, dal momento che i versi alludono alla presa di Buda da parte delle truppe imperiali, avvenuta in quell’anno, vista attraverso gli occhi del fantasma di Solimano, il sultano ottomano che aveva conquistato la città ungherese nel 1541 e che ora si dispera nel vederla riconquistata dai nemici. La cantata Quei diroccati sassi, pur non avendo una precisa datazione allude a un preciso contesto, come si ricava dal titolo: A bella donna sopra le ruine di Castro. I versi presentano infatti una riflessione morale, indirizzata a una «Filli superba», sulla caducità della bellezza, che prende spunto dalle rovine di Castro, città sede dell’omonimo ducato nell’alto Lazio, demolita nel 1649-50 per ordine di papa Innocenzo x per rappresaglia contro i Farnese che ne erano i feudatari. Il fulmine son io rientra invece nel genere della cantata spirituale: il soggetto allude infatti alla collera divina, simboleggiata nel fulmine, attratto dal peccato come da una calamita, i cui effetti sono evitabili grazie al segno premonitore del tuono. Nel più comune genere amoroso rientrano le due cantate Che volete da me e Misero cor: nella prima, un amante tradito cerca di resistere a un ritorno di fiamma dei suoi sentimenti; nella seconda, un amante si lamenta per una doppia sconfitta: una inflittagli dal dio Marte, ovvero in guerra, dove ha perso «patria, parenti e libertà», e l’altra dal dio Amore, che ha soggiogato il suo cuore con lo sguardo di una donna. Arnaldo Morelli

Altre notizie su questo CD
Registrato il 7-10 Gennaio 2021, Centro Studi Europeo di Musica Medioevale “Adolfo Broegg”, Spello (Italia)
Booklet 14 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Church Sonatas Complete

Artista
Diego Cannizzaro,organ & conductor
Compositore
W. Amadeus Mozart (1756-1791)
Organi
Organo Grande Donato Del Piano (1775)
Organo Piccolo Donato Del Piano (1782)
Luogo
Chiesa di San Basilio, Regalbuto (EN) Italia

Informazioni sull'album

Le diciassette Sonate da chiesa qui presentate risalgono tutte al periodo salisburghese, tra il 1772 circa e il 1780. Sono brani pensati per essere eseguiti durante la Messa tra la lettura dell’Epistola e quella del Vangelo e, pertanto, la più corretta dicitura sarebbe “Sonate all’Epistola”: lo stesso Mozart ci conferma ciò in una lettera del settembre 1776 indirizzata a Padre Giovanni Battista Martini. Il giovane Mozart era a quei tempi al servizio dell’Arcivescovo Hieronimus de Colloredo il quale, aderendo al programma di riforme promosse dall’imperatore Giuseppe II, favoriva la cultura e la ricerca e il suo governo manifestava una certa apertura sul piano politico e religioso. Attuò però una politica di tagli e di riduzioni di spese nell’ambito delle istituzioni musicali cittadine, fra l’altro chiudendo gli spazi riservati al teatro musicale; negli anni precedenti Mozart si era lamentato più volte, nelle sue lettere, della scarsa considerazione in cui Colloredo teneva la musica e i musicisti e del fatto che a Salisburgo non si potessero rappresentare né ascoltare opere liriche. In verità l’arcivescovo ha lasciato una discreta libertà di movimento a Mozart poiché riteneva che fosse un ottimo ambasciatore culturale della corte di Salisburgo ma lo scontento di Mozart verso l’ambente di Salisburgo crebbe sempre di più e aumentarono gli sforzi per la ricerca di una posizione alternativa L’epilogo sembra esser stato parecchio burrascoso come Mozart stesso descrisse a suo padre nella lettera del 9 giugno 1781: «Questo dunque è il conte che (stando alla sua ultima lettera) mi ha tanto sinceramente a cuore, questa è dunque la corte dove dovrei servire, una corte in cui uno che intende presentare una supplica per iscritto, invece di essere agevolato nell’inoltrarla, viene trattato in questo modo? [...] Ora non ho più bisogno di mandare nessuna supplica, essendo la cosa ormai chiusa. Su tutta questa faccenda non voglio più scrivere nulla ed anche se ora l’arcivescovo mi pagasse 1.200 fiorini, dopo un trattamento simile proprio non andrei da lui. Quanto sarebbe stato facile convincermi! Ma con le buone maniere, senza arroganza e senza villania. Al conte Arco ho fatto sapere che non ho più nulla da dirgli, dopo quella prima volta in cui mi ha aggredito in quel modo, trattandomi come un farabutto, cosa che non ha alcun diritto di fare. [...] Che gliene importa se voglio avere il mio congedo? E se è davvero tanto ben intenzionato nei miei confronti, cerchi allora di convincermi con dei motivi fondati, oppure lasci che le cose seguano il loro corso. Ma non si azzardi a chiamarmi zotico e furfante e non mi metta alla porta con un calcio nel culo; ma dimenticavo che forse l’ha fatto per ordine di Sua grazia.» (Wolfgang Amadeus Mozart, lettera del 9 giugno 1781) Anche se correntemente il termine di “sonata da chiesa” potrebbe far pensare ad una varietà di movimenti, secondo il concetto che viene attribuito a questo tipo di componimento (due tempi allegri alternati con due tempi adagi), va precisato che si tratta di composizioni dalla struttura semplice, senza troppe elaborazioni contrappuntistiche e a volte con un richiamo al genere concertante; sono scritte in un unico movimento di forma sonata sempre in tempo ”Allegro”, con l’unica eccezione dell’”Andantino” della prima Sonata KV 67, stilisticamente assimilabili al caratteristico stile cameristico settecentesco. Risulta interessante osservare la funzione dell’organo nell’arco della parabola compositiva delle sonate da chiesa: nelle nove sonate – da KV 67 a 225 – l’organo svolge la funzione di mero basso continuo nel pieno rispetto delle convenzioni settecentesche ma già nella KV 244 si scorge il tentativo da parte di Mozart di dare qualcosa in più allo strumento da tasto affidandogli due brevi conclusioni di frase con trillo mentre gli archi lo accompagnano con accordi. Nella KV 245 l’organo ha delle evidenti note lunghe e ribattute che lo fanno emergere dal flusso del ruolo di basso continuo. Fin qui Mozart resta fedele all’organo strumentale legato alla tradizione della sonata da chiesa a tre con due violini e basso continuo. Nella sonata KV 263 assistiamo all’arricchimento della tavolozza sonora con l’aggiunta di due trombe in Do; Mozart cerca nuove soluzioni timbriche, concepisce le sonate da chiesa in maniera più orchestrale che cameristica e nella KV 278 affianca alla tradizionale scrittura a tre con gli archi ben due oboi, due trombe e timpani. La sonata KV 328 ritorna all’organico con soli archi ma la scrittura dell’organo è decisamente concertante e, in taluni casi, anche preponderante sugli archi stessi. La sonata KV 329 presenta l’organico più ampio di tutte: agli archi vengono affiancati due oboi, due corni, due trombe e i timpani; Mozart gioca molto col dialogo tra oboi e violini ma non rinuncia a far intervenire anche l’organo in qualche dialogo. Val la pena sottolineare come questa sonata abbia il medesimo impianto orchestrale della Messa dell’Incoronazione KV 317. L’ultima sonata, la KV 336, non ha i fiati e i timpani ma necessita di due organi per la sua esecuzione: un organo funge da basso continuo, l’altro è uno strumento solista. La sonata si presenta come un pezzo da concerto di immediata comunicativa. Il primo tema molto cantabile è esposto dai violini e ripreso dall’organo; il secondo tema ha un andamento più delicato e grazioso. Non mancano la cadenza con trillo e un ritornello dei violini, cui segue uno sviluppo affidato alla mano destra dell’organista. C’è la ripresa del tema principale, al quale si affianca poi il secondo soggetto, questa volta in re minore con una serie di modulazioni, caratterizzanti lo stile concertante e un po’ audace della Sonata da chiesa. Già Mozart aveva pensato ad un uso solistico dell’organo nella Messa KV 259, in particolare nel Benedictus: l’organo ricama trame sonore su cui si appoggiano le voci e gli archi in uno stile tipicamente concertante. Nella sonata KV 336 Mozart porterà tale uso dello strumento da tasto a conseguenze più estreme e, nella messa KV 337, ritroveremo le figurazioni brillanti all’organo ben in evidenza nell’Agnus Dei in dialogo con la voce di soprano solista. Le prese del suono sono state effettuate con tutti i musicisti posizionati sull’ampia cantoria della chiesa parrocchiale di San Basilio in Regalbuto (EN); sono presenti due pregevoli organi di don Donato del Piano realizzati dopo il suo capolavoro, l’organo dell’abbazia di San Nicola l’Arena di Catania. L‘organo grande venne realizzato nel 1775 mentre il piccolo, sempre opera di Donato del Piano, risale al 1782 ed è attualmente collocato in una nicchia laterale della grande cantoria. Gli organi sono contemporanei alla composizione delle sonate di Mozart e la collocazione di tutti i musicisti in cantoria, se da un verso crea grosse complicazioni meramente pratiche per l’esecuzione, da un altro canto restituisce la modalità esecutiva con cui le sonate vennero presentate all’arcivescovo di Salisburgo.

Altre notizie su questo CD
Registrato il 26-27 febbraio 2021, Chiesa di San Basilio, Regalbuto (EN) (Italia)
Booklet 16 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Mauro Giuliani - Gold Edition

Artista
Dominika Zamarasoprano
Amedeo Carrocci, guitar
Compositore
Mauro Giuliani (1781-1829)
Luogo
Pontecorvo (FR), Italia

Informazioni sull'album

Quando nel 1806 si trasferì a Vienna con la famiglia, Mauro Giuliani trovò nella capitale asburgica un ambiente pronto ad apprezzare il suo talento, che in patria non era riuscito a far breccia come avrebbe meritato. Appena arrivato a Vienna, Giuliani riuscì a inserirsi in molti salotti aristocratici, dove si mise in evidenza grazie a una tecnica brillante e a una intensa vena melodica, che il pubblico viennese dimostrò di apprezzare molto. Nei dieci anni del suo soggiorno viennese Giuliani ebbe modo di conoscere molti dei compositori più importanti dell’epoca, tra cui Beethoven, che, a quanto hanno scritto alcuni testimoni dell’epoca, andava con piacere ad ascoltare i suoi concerti. In questo modo, Giuliani riuscì a fare crescere a Vienna la tradizione della chitarra, che dopo di lui avrebbe trovato numerosi interpreti di notevole talento, tra cui Johann Kaspar Mertz. Purtroppo, al successo artistico si accompagnarono seri problemi personali, che alla fine del 1819 spinsero il compositore a fare ritorno in Italia, dove la sua attività concertistica calò vistosamente, aggravando la sua precaria situazione economica. Nel cuore di Giuliani si insinuò così il desiderio di fare ritorno a Vienna, e in una lettera del 1828 confermò all’editore Artaria il suo imminente arrivo in città, un progetto che però le sue condizioni di salute gli impedirono, bloccandolo a Napoli, dove morì a 47 anni l’8 maggio del 1829. Tra le opere vocali di Giuliani spiccano le sei Cavatine op. 39 e le Ariette op. 95, su testo di Pietro Metastasio; va sottolineato che sul frontespizio di entrambe compare l’indicazione “con l’accompagnamento di piano-forte o chitarra”, che rivela l’intenzione di suscitare l’interesse del pubblico più vasto possibile. Come si può capire dallo stesso titolo, le Cavatine op. 39 affondano le loro radici nella tradizione vocale che faceva capo a Rossini, guardando però già agli stilemi belcantistici di Bellini, con l’aggiunta di qualche eco donizettiana. Rispetto alle cantate arcadiche, le piccole gemme di Giuliani declinano il sentimento amoroso in un’atmosfera meno astratta, nella quale si inseriscono fuggevoli spunti di maggiore intensità emotiva, che contribuiscono a conferire un tono di vivido realismo. A un’epoca successiva appartengono le più ambiziose Ariette op. 95, che Giuliani dedicò a Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Per questa raffinata mecenate delle arti, Giuliani scrisse sei brani dalla scrittura assai elaborata, in grado di esprimere le nitide immagine poetiche del Metastasio. Sotto il profilo stilistico, in queste opere si percepisce una evidente influenza degli operisti italiani come Giovanni Paisiello e Giovanni Battista Pergolesi, come si può notare per esempio nella carezzevole melodia di Ombre amene e nei toni più incalzanti di Fra tutte le pene. Opere che nel loro insieme rivelano la felice ispirazione di un compositore che, alla sua morte, venne onorato da un quotidiano napoletano come uno dei più grandi virtuosi di chitarra che «fu trasformata nelle sue mani in un’arpa che molceva i cuori degli uomini».

Altre notizie su questo CD
Registrato a Pontecorvo (FR) (Italia)
Booklet 16 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Complete Organ Work

Artista
Cristiano Accardi  Organo
Compositore
Robert Schumann (1810-1856)
Luogo
Madonna del Divino Amore, Roma (RM) Italia

Informazioni sull'album

Robert Schumann e la riscoperta del contrappunto.
Nel 1845, dopo il trasferimento da Lipsia a Dresda, Schumann si riaccostò alla composizione per tastiera, in particolare alle forme contrappuntistiche, da lui stesso considerate le più “oggettive”: un primo stimolo provenne dagli studi sul contrappunto che affrontò insieme alla moglie Clara, e che lo spinsero a sviluppare un nuovo modo di comporre; un ulteriore impulso fu dato dall’approccio con il Pedal-Flügel, un pianoforte a coda dotato di pedaliera, che i coniugi Schumann affittarono e suonarono per un certo periodo, allo scopo di esercitarsi nella tecnica organistica. La prima opera nacque con gli Studi per Pianoforte con pedaliera, sottotitolati come Sei pezzi in forma canonica, op. 56, pubblicati a Lipsia nel settembre 1845 dall’editore Friedrich Wilhelm Whistling. In questo lavoro emerge l’arte di Schumann nell’unire la complessità contrappuntistica del canone alla semplicità melodica delle varie frasi musicali. Nel 1846 fu la volta degli Schizzi per Pianoforte con pedaliera, op. 58, stampati sempre a Lipsia da Carl Friedrich Kistner. Si tratta di pezzi caratteristici che evidenziano una certa vena poetica dell’autore, e che arriveranno ad ispirare alcune composizioni organistiche di Max Reger o di Louis Vierne. Sempre nel 1846 furono pubblicate le Sei Fughe sul nome BACH per Organo o Pianoforte con pedaliera, op. 60, anche in questo caso ad opera dell’editore Whistling. Queste Fughe, aventi come unico soggetto il nome di Bach ricavato dalla notazione tedesca (Si bemolle, La, Do, Si bequadro), si possono considerare come brani autonomi, oppure collegati attraverso il principio della variazione; lo stile, pur mantenendo un linguaggio romantico, si avvicina con grande rispetto al contrappunto bachiano, allo scopo di rendere l’opera degna dell’alto nome che porta.

Altre notizie su questo CD
Registrato a Novembre 2019, Madonna del Divino Amore, Roma (Italia)
Booklet 12 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Sonate per l'Organo e il Cembalo

Artista
Daniele Proni Organo e Clavicembalo
Compositore
Giovanni Battista Martini (1706-1784)
Luogo
Cascina Giardino, Crema (CR) Italia

Informazioni sull'album

Giovanni Battista Martini nasce il 24 aprile 1706 e fin da piccolo è avviato alla musica dal papà che è strumentista d’arco così come il fratello maggiore Giuseppe. Saranno gli ambiti religiosi della casa-scuola di Don Giuseppe Auregli e della chiesa della Madonna di Galliera ad erudirlo nella lettura, nella scrittura, nell’aritmetica e nella religione. Dimostra fin da subito grande vivacità intellettuale e molteplici interessi nel campo musicale, tanto da essere indirizzato ad alcuni dei migliori maestri bolognesi: Angelo Predieri, con cui studia canto e composizione e Giovanni Antonio Riccieri, che perfeziona il suo contrappunto; con Francesco Antonio Pistocchi approfondisce le tecniche del canto mentre da Giacomo Antonio Perti riceve gli ultimi preziosi consigli. Viene accolto nella figliolanza di San Francesco, una sorta di apprendistato religioso, dove riceve l’ordine minore nel 1725. Da poco è divenuto anche aiutante di Ferdinando Gridi, maestro di cappella e organista, che la salute sta ormai abbandonando: dopo soli sei mesi infatti il Gridi scompare e Martini ne subentra quale facente funzioni e in un paio di anni ne diventa diretto sostituto. Nel 1729 è consacrato sacerdote, concludendo rapidamente il proprio percorso canonico: a soli 23 anni Giambattista è già ciò che sarà e rimarrà fino al 3 agosto 1784, giorno della sua morte. Difficile raccontare Martini in poche righe, ma possiamo partire da ciò che di suo è giunto sino a noi: oltre 1.000 numeri di catalogo di composizioni musicali manoscritte e a stampa di ogni genere, sacro e profano, vocale e strumentale, 3 volumi più 2 abbozzati di Storia della Musica, un saggio di contrappunto e centinaia di appunti sia di musica pratica che di musica teorica. A questo si aggiungano le quasi 6.000 lettere tra quelle inviate e ricevute, che rappresentano un epistolario di incredibile valore storico. Senza contare il lascito di oltre 17.000 volumi musicali e della quadreria, uno dei fondi di questo settore più importanti del mondo. Richiesto per il ruolo di coadiutore del maestro di cappella in S. Pietro al quale risponde con un laconico “Tuttavia lascio correr tutto, ringraziando Iddio che Roma è lontana da Bologna da 300 miglia; e qui spira un’aria più sincera”, egli decide di rifiutare ogni proposta che lo allontani dalla piccola cella in San Francesco, che è un rifugio sicuro nel quale può rinchiudersi per indagare, approfondire, comporre e trascrivere. Chiede ed ottiene dal papa, il Cardinale Lambertini, bolognese, ora al soglio pontificio come Benedetto XIV, di poter essere sollevato dall’incarico di celebrare la messa in chiesa, per la sua cagionevole salute. Quanto di vero vi sia in questa ammissione non lo sapremo mai, ma ottiene ciò che desidera, ossia la libertà di tempo a disposizione per le sue ricerche. Ed il papa, che ben lo conosce, non lesina permessi a colui che ritiene capace di lasciare un solco profondo nella storia della musica: “Per autorità apostolica del pontefice massimo Bendetto XIV, il giorno 9 settembre 1750 è stato decretato che 1) i codici, i libri, le pergamene, i fogli singoli, sia manoscritti sia a stampa, raccolti da ogni dove, a cura e spese del frate Giovanni Battista Martini, maestro di cappella, 2) dopo la sua morte siano sollecitamente depositati nella biblioteca di questo cenobio, da cui ma dovranno essere rimossi, 3) sotto pena di scomunica”. Martini trova anche il tempo per dedicarsi a decine di allievi, che si rivolgono a lui per avere efficaci consigli per il contrappunto, di cui è maestro incontrastato. Tra questi il giovane Mozart, che in una lettera del 1776 scrive: “... e non cesso d’affliggermi nel vedermi lontano dalla persona del mondo che maggiormente amo, venero e stimo, e di cui inviolabilmente mi protesto di Vostra Paternità molto Reverenda umilissimo e devotissimo servitore”. In merito al suo comporre egli si situa a cavallo tra stile barocco e galante nella parte strumentale, di ispirazione palestriniana la musica vocale, con grande cura nel trattamento delle masse vocali, dense di contrappunto ma allo stesso tempo intrise di cantabilità che lo spirito galante, ormai imminente, tende a plasmare. La musica per tastiera comprende un centinaio di sonate per organo e cembalo delle quali solo 18 stampate: 12 Sonate d’Intavolatura per l’organo, e’l cembalo edite ad Amsterdam da Le Céne nel 1742 (op. 2) e 6 Sonate per l’organo e il cembalo edite a Bologna da Lelio Dalla Volpe nel 1747 (op. 3). Oltre a 6 concerti per cembalo manoscritti, ora in corso di pubblicazione. Le sonate dell’op. 2 descrivono la somma ingegnosità compositiva tastieristica di Martini. Se possibile un’arte addirittura all’eccesso, quando propone nei brani ove il contrappunto si fa decisamente più serrato, passaggi al limite dell’eseguibilità, perché l’idea tende a superare la forma. Sono sonate difficili sia da suonare che da ascoltare. Movimenti in stile quasi galante si alternano a pagine composite e ricercate, che talvolta obbligano ad un ascolto estremamente concentrato. Viceversa le sei sonate dell’op. 3 brillano per leggerezza, semplicità e chiarezza formale e melodica. Proprio da queste sonate e dalla loro gestazione nasce il progetto di questa incisione discografica. Le Sonate dell’op. 3 sono 6, mentre il suo nuovo editore Lelio dalla Volpe nel catalogo distribuito nel corso del 1747 parla di una seconda raccolta di Sonate, mai venute alla luce. Il progetto esisteva, ma evidentemente qualcosa impedì che esso fosse portato a termine. Nel mio lungo e approfondito lavoro sui manoscritti del frate, ho cercato di immaginare quali altri brani avrebbe voluto inserire in una seconda raccolta e ne ho dedotto che avrebbe con larga probabilità utilizzato qualcosa di già composto. La sua musica per tastiera è stata collazionata in modo efficace e molti “fogli sparsi” sono riuniti nel faldone denominato HH.35 del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna. Questa miscellanea contiene musica molto gradevole, piccoli brani utili al diletto e all’esercizio quotidiano; sono slegati tra loro, ad esclusione di alcune eccezioni, che mi hanno guidato per comporre questa ipotetica op. 4, per la quale ho anche immaginato un’evoluzione programmatica. Così come le sonate dell’op. 2 sono molto schematiche, ossia tutte formate da cinque movimenti, quelle dell’op. 3 risultano più concise, per i motivi esposti in precedenza. Anch’esse seguono una regola: tre movimenti, quasi tutti con ritornello per le variazioni, per le sonate affidate al cembalo e due, senza ritornelli, per quelle organistiche. Lo schema formale che caratterizza invece queste nuove sonate vuole raccogliere tutte le proposte martiniane, seppur con una maggiore libertà, con un richiamo al numero cinque per la prima sonata e un ampliamento a tre movimenti dell’ultima per organo, quasi a consolidare una forma che tenderà ad affermarsi nella seconda metà del Settecento. Permane l’alternanza tra i due strumenti, ma questa maggior varietà formale mi auguro contribuisca a delineare un quadro se possibile più completo del modello di scrittura dell’autore.

Altre notizie su questo CD
Registrato il 2,3 Luglio 2018, a Cascina Giardino, Cremona (Italia)
Booklet 15 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Olimpia Abbandonata & Other Cantatas

Artisti
Valeria La Grottasoprano
Ensemble Sonar d'affetto
Nicola Brovelli, violoncello 
Mauro Pinciaroli, arciliuto 
Luigi Accardo, clavicembalo
Compositore
Leonardo Vinci (1696-1730)
Luogo
Chiesa Sant'Eligio Vescovo,
La Mandria di Chivasso (TO)

Informazioni sull'album

«Arrivando in questa città ero preparato all’idea di trovarvi la musica al più alto grado di perfezione. Solo Napoli, pensavo, poteva offrirmi tutto quel che la musica può offrire in Italia, quanto alla qualità ed alla raffinatezza. […] Del resto, quale persona amante della musica potrebbe giungere nella città dei due Scarlatti, di Vinci, Leo, Pergolesi, Porpora, Farinelli, Jommelli, Piccini, Traetta, Sacchini e tanti altri compositori ed interpreti di primo piano, sia vocali sia strumentali, senza provare la più visiva attesa?». Con queste parole, Charles Burney, autore di una tra le più celebri e antiche ‘storie della musica’ dell’età moderna, nell’ottobre del 1770 annotava sul diario di viaggio le sue aspettative – senza dubbio non disattese – al momento di visitare Napoli, capitale europea della musica. Tra i compositori menzionati spicca il nome di Leonardo Vinci, la cui fama di operista, nonostante fosse deceduto ben quattro decenni prima del soggiorno di Burney in Italia, doveva essere ancora nota allo studioso inglese. Quest’ultimo, dopo averne conosciuto meglio la musica, non esitò a dedicargli alcune parole lusinghiere nella sua General History of Music del 1776, dove scrisse che «senza tradire la sua arte, [Vinci] la rese amica, anche se non schiava, della poesia, rendendo più semplice la melodia e richiamando l’attenzione del pubblico principalmente sulla parte vocale, senza complicate fughe o soluzioni artificiose». Nato intorno al 1690 a Strongoli, in provincia di Crotone, Vinci si trasferì in giovane età a Napoli, dove studiò con Gaetano Greco presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo. Successivamente fu maestro di cappella della corte del Principe di San Severo e nel 1725 subentrò ad Alessandro Scarlatti come pro-vicemaestro della Real Cappella, incarico che mantenne sino alla sua morte avvenuta nel 1730. Durante la sua carriera, Vinci si dedicò quasi unicamente al teatro musicale, componendo prima opere buffe in napoletano (debuttò al Teatro dei Fiorentini nel 1719), poi drammi per musica su libretti dei più noti poeti del tempo, quali Silvio Stampiglia e Pietro Metastasio, che furono rappresentati prevalentemente a Napoli, Roma e Venezia. Stimato dai contemporanei e dagli intellettuali delle generazioni successive (Giuseppe Sigismondo ancora nel 1820 lo definisce «uno de’ più rinomati compositori del suo tempo»), Vinci è oggi considerato dagli studiosi uno dei massimi esponenti di una folta schiera di musicisti formatasi a Napoli nell’era post-scarlattiana, nonché uno dei primi ad aver proposto, attraverso una scrittura musicale caratterizzata da maggiore semplicità nella struttura armonica a vantaggio della linea melodica del canto, un superamento di quello stile musicale del tardo-Barocco che stava iniziando ad apparire all’epoca sempre più artificioso e meno apprezzato. Tali caratteristiche stilistiche, tipiche della fase matura di Vinci, si manifestano non solo nel repertorio operistico, ma anche nella cantata da camera, genere vocale che ha seguito gli stessi sviluppi musicali e poetici del coevo melodramma. La produzione cantatistica di Vinci attualmente nota consta di poco più di una dozzina di componimenti quasi tutti per voce sola e basso continuo, un numero assai esiguo se messo a confronto con i compositori della generazione precedente, in primis Alessandro Scarlatti. Ciononostante, come dimostrano le sette cantate qui proposte, la cifra stilistica del compositore e la struttura formale dei componimenti, cristallizzata nell’alternanza di due recitativi e due arie ovvero pezzi chiusi ben distinti tra loro quanto a caratteristiche musicali, testuali e drammaturgiche, fanno di tali brani degli esempi emblematici dell’ultima stagione di questo genere di musica vocale. Sul piano testuale, le cantate sono tutte dedicate ai tipici temi amorosi della tradizione pastorale, con personaggi tratti dal mondo arcadico e mitologico (Filli, Nice, Clori, Irene, Cupido) o dalla letteratura cavalleresca (Olimpia, Bireno). La struttura metrica delle arie rispecchia quella dei coevi libretti metastasiani e consta di due strofe geminate, simmetriche e omomorfe, ossia costituite dallo stesso numero di versi con il medesimo metro. Tale organizzazione formale del testo favorisce la struttura musicale della cosiddetta “aria con da capo”, laddove a ognuna delle due strofe corrisponde una differente e contrastante sezione della musica (A-B), la prima della quale si ripete a conclusione della seconda lasciando la possibilità all’interprete di sfoggiare il proprio virtuosismo canoro attraverso abbellimenti non scritti. Rispetto però alla tradizione cantatistica tardo-secentesca, Vinci sembra attingere ancora una volta dal repertorio operistico, scrivendo delle arie in cui la prima sezione risulta maggiormente articolata (AA’-B-AA’), tanto da formare quella che per alcuni studiosi ricorda una struttura embrionale della forma-sonata. La vena da drammaturgo musicale si delinea anche in alcuni recitativi, dove Vinci manifesta una spiccata aderenza al valore semantico di determinate parole attraverso improvvisi e inaspettati cambiamenti agogici (come a tempo), schemi ritmici che ritornano nelle arie (quasi ad anticipare l’«affetto» a cui sarà mosso l’ascoltatore), oppure vere e proprie cellule melodiche che ricordano per certi versi i madrigalismi visivi di cinquecentesca tradizione. Ciò che ne consegue, sul piano drammatico ancor prima che strettamente musicale, è che le cantate qui proposte assumono sempre più la conformazione di piccole scene operistiche, che nulla hanno da invidiare ai più noti capolavori per il teatro musicale composti da Vinci. L’apice in tal senso è costituito dalla cantata Dove sei che non ti sento, una tipica scena-lamento di Olimpia abbandonata da Bireno costruita con tutti i tòpoi poetico-musicali del celeberrimo lamento di Arianna, posto in musica nel 1608 da Claudio Monteverdi su testo di Ottavio Rinuccini: il componimento di Vinci, unico della presente silloge a essere privo di un iniziale recitativo narrativo, si apre direttamente con Olimpia che si dispera per l’abbandono di Bireno, in un climax retorico che trova il suo compimento drammatico nel Presto della seconda aria – definibile “di furore” – in cui, nel pieno rispetto del canone rinucciniano, la protagonista alterna l’imprecatio verso l’amato («Orridi turbini / fate che sorghino / l’onde più torbide / perché sommerghino / il traditor») alla sua confutatio («Ah no! Ritornino / pur l’onde placide / ché non desidera / tanto quest’anima / che l’ama ancor!»).

Giacomo Sciommeri Centro Studi sulla Cantata Italiana Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Altre notizie su questo CD
Registrato il 4-6 Agosto 2020, Chiesa Sant'Eligio Vescovo, La Mandria di Chivasso (TO) (Italia)
Booklet 22 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Esule dalle sfere - Chi resiste al Dio bendato

Artisti
Accademia del Ricercare,
Pietro Busca, direttore
Massimo Altieri, tenore
Gianluigi Ghiringhelli, controtenore
Enrico Bava,
Mauro Borgioni, baritono
Lucia Cortese, Paola Valentina Molinari, soprani
Compositore
Alessandro Stradella (1644-1682)
Luogo
Cappella del Seminario di Vercelli (VC), Italia

Informazioni sull'album

Insieme a Caravaggio, Alessandro Stradella è una delle figure più affascinanti del Barocco italiano, non solo grazie a un talento smisurato, ma anche a una vita tormentata e perennemente in fuga, che contribuisce a renderlo molto simile ai protagonisti dei romanzi dei giorni nostri. Come il celebre pittore, Stradella morì ancora giovane, a soli 38 anni, ucciso da una pugnalata infertagli dai sicari di Giovan Battista Lomellini, un nobile genovese che volle in questo modo vendicare l’onore di sua sorella che – a suo modo di vedere – il compositore aveva sedotto impartendole lezioni di musica. Questo tragico epilogo pose bruscamente fine a una produzione molto vasta, che comprendeva già otto drammi e commedie per musica, sei oratori sacri – che molti considerano tra i massimi capolavori del compositore di Nepi – e una vasta messe di cantate di carattere sia spirituale sia profano. Uno degli aspetti più emblematici dello stile di Stradella è costituito dalla sua accesa e vibrante teatralità, che trova piena espressione non solo nelle opere concepite per la rappresentazione teatrale, ma anche nei lavori scritti per le esecuzioni in spazi privati come le cantate, che – anche nell’ambito spirituale – raggiungono spesso accenti molto tesi e brillanti, che esaltano con impressionante immediatezza gli affetti del testo. Opera della piena maturità di Stradella, Esule dalle sfere venne scritta nel 1680 per la festività della Commemorazione dei Defunti su un apprezzabile testo di Pompeo Figari, un sacerdote originario di Rapallo che diede mostra di possedere un buon talento letterario, una dote che nel 1690 gli permise di essere a Roma tra i fondatori dell’Accademia d’Arcadia e di entrare nella cerchia ristretta di papa Clemente XI. Ponendosi in un ambito prettamente didattico, questa cantata si apre con Lucifero (basso), che esprime tutta la sua rabbia per il fatto di essere stato relegato nella tenebrosa atmosfera dell’inferno e la sua volontà di inasprire quanto più possibile le pene alle anime del Purgatorio (coro) che – dopo un lungo e doloroso cammino di purificazione – sono destinate a raggiungere il Cielo. Disperate, le anime purganti invocano pietà, che alla fine viene loro concessa dall’Arcangelo Gabriele (soprano), che spalanca loro le porte del Paradiso, che invece sarà per sempre precluso a Lucifero e ai suoi accoliti, colpevoli di aver osato mettersi sullo stesso piano di Dio. Dopo una breve sezione in cui viene spiegata l’importanza della preghiera dei vivi per la salvezza eterna dei trapassati, l’oratorio si chiude su temi giubilanti, sottolineati dal verso «Dopo un breve pianto, eterno è il riso». Sotto il profilo musicale, Esule dalle sfere presenta una felice caratterizzazione del personaggio “negativo”, priva dei roboanti eccessi che si possono notare in parecchie opere dell’ultimo scorcio del XVII secolo e sostenuta da una scrittura brillante e spesso virtuosistica, e un’atmosfera drammatica molto tesa, che si allenta solo nel coro finale, con il giubilo delle anime ormai salve. Di carattere del tutto diverso è la cantata Chi resiste al dio bendato, anch’essa scritta nell’ultima fase della parabola creativa di Stradella e incentrata sull’immancabile tema amoroso, che in questo lavoro viene declinato su toni felici e luminosi. In questo caso non ci troviamo di fronte a una scena dal sapore teatrale, ma a un “ragionamento d’amore”, che trova piena espressione nell’aria conclusiva del soprano «Chi vive con amor vive beato», preceduta da una vivace tarantella. Questa cantata riveste una grande importanza anche sotto il profilo musicologico, in quanto la sua partitura autografa riporta chiaramente la divisione dell’ensemble strumentale tra concertino e concerto grosso, i componenti del genere che due decenni più tardi sarebbe stato portato a perfezione dall’op. 6 di Arcangelo Corelli. La carenza di azione del testo poetico si traduce in una scrittura distesa, melodiosa, espressiva e priva di passaggi eccessivamente virtuosistici, quasi che Stradella tema che una musica troppo mossa possa turbare la serenità di una bella favola d’amore.

Altre notizie su questo CD
Registrato il 27, 28, 29 Febbraio 2020, nella Cappella del Seminario di Vercelli (Italia)
Booklet 18 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Sonate a due flauti

Artisti
Ensamble A'L'Antica
Luigi Lupo,  flauto traversiere
Pietro Berlanda, flauto traversiere
Compositore
Georg Philipp Telemann (1681-1767)

Informazioni sull'album

Fino al 1999 si pensava che Telemann avesse scritto quattro raccolte di duetti per due flauti, tre delle quali pubblicate a Parigi: Sonates sans Basse (1727), XIIX Canons mélodieux (1738) e Second Livre de Duo (1752). Era rimasta manoscritta la quarta raccolta e l’unica copia è conservata a Berlino nella Staatsbibliothek (D-B, Mus. ms. 21787). Nel 1999 però sono stati ritrovati nella Biblioteca di Kiev tutti gli spartiti della Sing Akademie di Berlino trafugati durante la II Guerra Mondiale e così sono venuti alla luce altri nove duetti che hanno oggi il numero di catalogo TWV 40: 141-149. Il manoscritto, opera di un copista berlinese non identificato, ha la segnatura SA 3903 (ZD 1742 g) ed è formato da due parti separate, ognuna di 22 folii. Sono duetti di buona qualità anche se un po’ eterogenei e infatti il musicologo Steve Zohn ha avanzato dubbi sull’autenticità degli ultimi tre. In realtà i dubbi riguardano anche alcuni degli altri ed è abbastanza evidente che non furono composti nello stesso periodo e con l’idea di formare una raccolta omogenea. Telemann era molto sistematico nelle sue pubblicazioni a partire dalla scelta delle tonalità che qui sono invece distribuite in modo casuale e ripetuto: 3 Duetti in sol maggiore, 2 in mi minore e si minore, uno in re maggiore e in la minore. È possibile che si tratti di materiale preparato mentre scriveva le varie raccolte e rimasto poi inedito ma è probabile che il copista abbia inserito altri brani coevi per rimpolpare il manoscritto che gli era stato commissionato. All’epoca vi era infatti un fiorente mercato che ruotava attorno agli editori e indirizzato soprattutto ai dilettanti che desideravano brani per uso domestico e a fine didattico. E in effetti la principale valenza di gran parte della musica di Telemann è proprio quella formativa indicata a volte negli stessi titoli: Sonate Metodiche ed Essercizii Musici. Per quanto riguarda una possibile datazione dei duetti credo si debba fare una distinzione fra la data di composizione dei brani e quella di realizzazione della copia. Nel Répertoire International des Sources Musicales (RISM) è indicato molto genericamente la seconda metà del XVIII secolo. Il fatto che il manoscritto facesse parte della collezione personale di Sara Levy (1761-1854), allieva prediletta di Wilhelm Friedemann Bach e il cui padre Daniel Itzig era un banchiere ebreo inserito nella corte di Federico il Grande, non aiuta visto che collezionò spartiti di autori di tutto il Settecento, in primis J.S. Bach, e poi li lasciò tutti alla Sing Akademie. Probabilmente lo spartito fu copiato dopo la metà del Settecento ma, come detto, è quasi certo che i brani siano stati composti prima e in epoche diverse. Sulla base dell’analisi stilistica dei pezzi Steve Zohn ipotizza un intervallo temporale fra il 1730 e il 1740 ma la varietà delle forme presenti nella raccolta permette di poter arrivare fino alla metà del secolo. All’interno della raccolta salta immediatamente all’occhio una curiosità: la Sonata n. 5 in sol maggiore si chiude con un Allegro in 3/8 in re maggiore e la cosa sarebbe un unicum nel panorama dell’epoca. Si può dunque ipotizzare che la sonata sia incompleta (ma ha già cinque movimenti) oppure che l’Allegro sia una specie di Trio del Menuet in 3/8 precedente che quindi andrebbe eseguito di nuovo per finire il tutto alla tonica. Infine sottolineo la scelta felice degli interpreti di utilizzare entrambi dei flauti copia di uno strumento originale di Joannes Hyacynthus Rottenburgh (1672-1765) le cui caratteristiche sonore di pienezza nel registro grave, buona agilità e ricchezza timbrica si adattano perfettamente alla varietà di atmosfere presenti in generale nelle musiche di Telemann.

Altre notizie su questo CD
Registrato in Palazzo Venturi, Avio (Trento) Italia, dal 23 al 25 Agosto 2011
Booklet di 11 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Contiene la biografia dell'artista
Include un commento musicologico. 

Organ Works

Artista
Paolo Bottini, organo
Compositore
Amilcare Ponchielli (1834-1886)

Informazioni sull'album

Nel marzo del 1855 Amilcare Ponchielli (Paderno Fasolaro, 31 agosto 1834 – Milano, 16 gennaio 1886), appena uscito diplomato dal Regio Conservatorio di Milano, ricevette a Cremona (forse anche per l'appoggio di Ruggero Manna – maestro di cappella del Duomo, che già l'anno precedente aveva scelto il giovane Ponchielli come suo sostituto alla direzione dei complessi vocali e strumentali del teatro cittadino – nonché del suo compaesano don Cesare Paloschi, organista del Duomo di Cremona dal 1824 al 1849) la nomina a organista titolare della chiesa parrocchiale di S. Imerio, incarico che mantenne fino al 1860 a fronte dello stipendio di 100 lire austriache l'anno. Qui il promettente musicista aveva a disposizione l'organo edificato poco tempo prima da Angelo Bossi di Bergamo: benché di modeste dimensioni, fu costruito secondo i canoni estetici dell'epoca, secondo cui gli organi dovevano poter imitare il suono degli strumenti musicali dell'orchestra e della banda (quali flauto traverso, tromba, ottavino, fagotto, viola, violoncello, tanto per citare quelli presenti nell'organo di S. Imerio). È dunque proprio a questo quinquennio che si possono far risalire buona parte delle composizioni presenti in questa nuova produzione discografica, la quale si basa sull'edizione critica curata nel 1999 da Marco Ruggeri per i tipi della cremonese editrice Turris. L'ascoltatore potrà notare lo stile schiettamente operistico di queste pagine, quasi esercizi di composizione di scene d'opera in miniatura: all'epoca la musica operistica più acclamata veniva trascritta e adattata agli organi al fine di venir suonata – senza troppo scandalo – durante il culto divino, e pure il repertorio originale per organo respirava a pieni polmoni presso lo stile musicale allora imperante. Tra tutti i pezzi – realizzati con mano sicura e originale, oltre che con quasi calcolata varietà di forme – spicca sicuramente, per ampiezza ed articolazione, la «Sinfonia metà per organo e metà per pianoforte», curioso titolo che non fa altro che spiegare la comune prassi dell'epoca di realizzare partiture per organo senza parte di pedale talmente elaborata da impedirne l'efficace esecuzione anche tra le mura domestiche. Il completamento dei due pezzi incompiuti (Versetto n. 2 in primo tono e Andantino in sol, rispettivamente tracce 14 e 20 del presente c.d.) è stato realizzato da Paolo Bottini appositamente per questa produzione. L'organo utilizzato per questa incisione venne edificato per la chiesa arcipretale di S. Dalmazio vescovo in Paderno Fasolaro (provincia di Cremona) dal «fabbricatore d'organi» Pacifico Inzoli di Crema, inaugurato il 25 settembre del 1873 da Amilcare Ponchielli stesso, assieme al celebre organista cremasco Vincenzo Petrali, e nuovamente, nonché egregiamente, restaurato nel 2019 dagli eredi della medesima ditta i Fratelli Bonizzi di Ombriano di Crema.

Altre notizie su questo CD
Registrato maggio-giugno 2019, Chiesa di San Dalmazio Vescovo, Paderno Ponchielli (CR), (Italia)
Booklet 11 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Quartetto Kv 370 - Sonata Kv 311 - Terzetti dai Divertimenti Kv 439/b

Artisti
Ensemble à L'Antica
Luigi Lupo, flauto traversiere
Rossella Croce, violino
Luigi Azzolini, viola
Rebecca Ferri, violoncello
Compositore
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791


Informazioni sull'album

Tra la fine del Sette e l’inizio dell’Ottocento, infinite opere da camera, per orchestra e persino melodrammi furono trascritte per formazioni da camera. Questa prassi assai diffusa permetteva ai più svariati insiemi strumentali di eseguire le composizioni di successo del momento. Abbiamo esempi di ouverture d’opera trascritte per chitarra sola; di arie d’opera trascritte per strumento solista con, a seguire, “variazioni sul tema”. Le combinazioni strumentali utilizzate per le trascrizioni erano numerose e varie. L’aspetto importante di questo fenomeno ottocentesco è quello di aver aperto due vie: la prima è quella della diffusione della cultura musicale; la seconda di aver favorito e incrementato il bacino di appassionati dilettanti che si cimentavano direttamente nello studio degli strumenti musicali. E’ evidente che queste due strade, alla fine andavano in un’unica direzione, quella della fruizione casalinga della musica. Un ultimo punto di vista da non sottovalutare è quello economico: il salotto musicale europeo dell’Ottocento rappresentò una vera e propria opportunità finanziaria, sia per editori sia per musicisti. Anche la musica di Mozart si è ben prestata a questa prassi ed è stata rivisitata e trascritta per i più svariati ensemble strumentali. Il programma proposto in questo concerto ne è un vivo esempio. Le trascrizioni, in alcuni casi, erano a cura di valenti e riconosciuti musicisti dell’epoca, oppure di anonimi trascrittori al soldo di case editrici. Di anonimo, infatti, la trascrizione dei tre Terzetti estratti dai cinque divertimenti K 439b, che rappresentano l’esemplificazione delle formazioni amatoriali proposte dalla casa editrice viennese Artaria nel 1804. Per i due quartetti ci siamo affidati alla mano di Antoine Hugot (1761-1803) per il K 370 e Franz Anton Hoffmeister (1754-1812) per il k 311. Antoine Hugot, flautista e compositore, fu tra i primi insegnanti di flauto dalla fondazione del conservatorio di Parigi. Autore di un famoso metodo scritto a quattro mani con il collega J.G. Wunderlich (1756-1819) e pubblicato postumo nel 1804. Franz Anton Hoffmeister fondò lui stesso una casa editrice a Vienna nel 1784 e pubblicò composizioni dello stesso Mozart, di Haydn e Beethoven. Hoffmeister fu musicista e compositore prolifico. Le trascrizioni per flauto delle opere di Mozart furono forse in parte ispirate dalla sua amicizia e collaborazione con il flautista F. Thurner. Luigi Lupo

Tra le sollecitudini - Autori Ceciliani

Compositori
Angelo Burbatti (1868-1946)
Giovanni Pagella (1872-1944)
Carlo Calegari (1863-1952)
Giovanni Bolzoni (1841-1919)
Michele Mondo (1883-1965)
Dino Sincero (1872-1923)
Costante Adolfo Bossi (1876-1953)
Marco Enrico Bossi (1861-1925)
Federico Caudana (1878-1963)
Giovanni Battista Polleri (1855-1923)
Organo
Carlo Vegezzi Bossi (1897)
Luogo
Duomo di San Giovanni Battista, Ciriè Torino

Informazioni sull'album

LA RIFORMA CECILIANA
In Italia verso la fine del XIX secolo venne a costituirsi il Movimento Ceciliano, intitolazione assunta da un movimento musicale che riformò la musica sacra nell’ambito della Chiesa cattolica. Così chiamato in onore di Santa Cecilia, patrona della musica, fu una risposta alla centenaria e quasi totale assenza del Canto gregoriano e della polifonia rinascimentale dalle celebrazioni liturgiche cattoliche a favore di stili più simili alla musica operistica. Principale criterio delle nuove composizioni doveva essere una maggiore sobrietà e la ricerca, attraverso il canto, della partecipazione alla liturgia dell’assemblea dei fedeli. Nacquero in questo periodo varie le Scholae Cantorum in quasi tutte le parrocchie, formazioni corali dedite all’animazione liturgica e all’apprendimento dell’arte musicale e gli Istituti Diocesani di Musica Sacra. Conseguentemente anche l’arte organaria risentì dell’influsso di questo movimento con l’eliminazione di tutti quei registri detti da concerto, tipici dell’organo italiano dell’Ottocento, a favore di sonorità meno fragorose. Si sostituirono o si annullarono, quindi, ance e mutazioni, con fondi, prevalentemente di 8’ e registri violeggianti. In questo periodo, infatti, l’organo si rinnova dal punto di vista tecnico: eliminata l’ottava scavezza (detta anche ottava corta o ottava in sesta) e i registri spezzati tra bassi e soprani, viene ideato un nuovo sistema di trasmissione in sostituzione a quello meccanico tradizionale, la trasmissione pneumatico-tubolare. Tra i musicisti che diedero vita al Movimento Ceciliano vi furono Giovanni Tebaldini (Brescia, 7 settembre 1864 – San Benedetto del Tronto, 11 maggio 1952), predecessore di Lorenzo Perosi (Tortona, 21 dicembre 1872 – Roma, 12 ottobre 1956) nell’incarico di Maestro di Cappella nella Basilica di San Marco di Venezia, anche se tutte le fonti concordano nell’individuare proprio in Perosi la guida e il principale esponente del Movimento Ceciliano. Lo stesso Tebaldini ammise che quel che egli aveva sognato e sperato, era divenuto realtà grazie al sacerdote e compositore tortonese. Il Movimento Ceciliano trovò il massimo appoggio nella persona di papa Pio X (nato Giuseppe Melchiorre Sarto. Riese, 2 giugno 1835 – Roma, 20 agosto 1914) che il 22 novembre 1903 (non a caso il giorno di Santa Cecilia), emanò quello che è considerato il manifesto del movimento, cioè il Motu Proprio Inter pastoralis officii sollicitudines, in cui ribadiva tutti i concetti cari ai cecilianisti ed esortava tutta la Chiesa cattolica ad uniformarvisi. Edgardo Pocorobba.

Altre notizie su questo CD
Registrato: Duomo di Ciriè, Torino, Italia, Ottobre 2019
Booklet di 8 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Contiene la biografia dell'artista
Include un commento musicologico 
Contiene una scheda completa dell’organo con disposizione fonica e fotografie

Music for the Royal Fireworks

Artisti
Pietro Tagliaferri, sassofono soprano
Stefano Pellini, organo
Compositore
Georg Friedrich Händel (1685-1759)

Informazioni sull'album

Non è mai facile eseguire le opere più famose della letteratura classica con strumenti diversi da quelli per cui sono stati concepiti in origine, soprattutto se si tratta dei brani più famosi di compositori del calibro di Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Händel. Bisogna però distinguere dalla esecuzioni storicamente informate – che mirano a fare ascoltare al pubblico lavori scritti secoli fa secondo il preciso dettato dell’autore e con le sfumature sonore ricreate dagli strumenti originali – a rivisitazioni più libere che, oltre a non dissacrare per nulla opere che continuano a manifestare una perenne giovinezza, ne mettono in evidenza tutta l’attualità e la grandezza. Questo fatto era parso chiaro già nel 2016, quando la Elegia Classics pubblicò un disco nel quale il sassofonista Pietro Tagliaferri e l’organista Stefano Pellini eseguivano una serie di brillanti trascrizioni di celebri opere di Johann Sebastian Bach (ELEORG038), che venne accolto con grande favore dalla stampa specializzata, che non mancò di sottolineare la spiccata musicalità dei due interpreti. Oggi Tagliaferri e Pellini – che formano l’ensemble Riverberi – proseguono il loro cammino barocco, con un nuovo disco dedicato a Händel, nel quale eseguono alcune delle opere più amate del grande compositore di Halle, tra cui la seconda suite di Water Music, la Musica per i Reali Fuochi d’Artificio e la celebre aria “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo. Un ascolto molto avvincente, davvero da non perdere!

Complete Italian Organ Concertos - Vol.2

Compositore
Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Informazioni sull'album

Con questo splendido disco, Luca Scandali prosegue la sua integrale delle opere per organo che Johann Sebastian Bach scrisse sulla base dei lavori dei compositori italiani che aveva scelto come modelli durante i suoi studi giovanili e che gli consentirono di forgiare lo stile che lo rese famoso. Nonostante questa finalità entro certi limiti “didattica”, le opere presentate in questo disco non sono per nulla pedisseque rielaborazioni di altri autori, ma brani brillanti, originali e ricchi di personalità, in grado di stare legittimamente al fianco dei massimi capolavori del sommo Cantor lipsiense. Il programma comprende sei concerti dal sapore inconfondibilmente veneziano, cinque dei quali basati su pagine di Antonio Vivaldi (un concerto dell’Estro armonico op. 3, uno della Stravaganza op. 4 e il noto “Grosso Mugul”) e uno sul Concerto op. 1 n. 2 di Benedetto Marcello, compositore di grande ecletticità contemporaneo del Prete Rosso. Queste opere ci vengono proposte nell’interpretazione di Luca Scandali, che per la Elegia ha già realizzato diversi dischi di grande interesse, tra i quali spiccano i due volumi delle sinfonie di Padre Davide da Bergamo. Un disco che merita di essere preso in seria considerazione anche per la splendida tavolozza sonora dell’organo Dell’Orto & Lanzini della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta di Vigliano Biellese e dell’eccellente qualità della ripresa sonora.

Altre notizie su questo CD
Booklet di 16 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Contiene la biografia dell'artista
Include un commento musicologico.

Psalmi vespertini a 8 voci (1648)

Artisti
Ensemble “Festina Lente”
Michele Gasbarro, direttore
Compositore
Virgilio Mazzocchi (1597-1646)

Informazioni sull'album

Dopo il disco dedicato dal celebre ensemble di strumenti originali L’Arte dell’Arco alla figura di Giuseppe Tartini – compositore di cui quest’anno si celebra il 250° anniversario della morte (ELECLA18064) – la Elegia prosegue la sua collaborazione con il Roma Festival Barocco con un titolo interamente dedicato a Virgilio Mazzocchi, fratello minore del più famoso Domenico. Dopo aver ricevuto la tonsura, Mazzocchi diede inizio a una brillante carriera musicale, che nel 1629 lo vide approdare, poco più che trentenne, nella Cappella Giulia della Basilica di San Pietro, dove sarebbe rimasto fino alla morte prematura, che lo colse nel 1646. Questa inarrestabile ascesa era basata su un solido magistero compositivo, che appare evidente nei Psalmi Vespertini presentati in questo disco, che vennero pubblicati postumi dal fratello Domenico. Concepite in uno stile quanto mai personale, queste opere rivelano una scrittura molto espressiva, basata su una efficace alternanza di maestosi passaggi corali e di più intime sezioni solistiche, che nel loro insieme garantiscono un ascolto veramente appassionante, grazie alla brillante interpretazione dell’ensemble Festina Lente, guidato con sensibilità e profonda padronanza stilistica dal suo direttore Michele Gasbarro. Un autore inedito del Barocco romano, che vi conquisterà.

Altre notizie su questo CD
Booklet 20 pagine a colori, testi in Italiano e Inglese
Commento musicologico
Biografia artisti

Arie per una “voce d’angelo”

Artisti
Trigono Armonico
Lucia Cortese, soprano
Maurizio Cadossi, direttore
Compositori
F.M. Veracini (1690-1768), M. D’Alay (1687-1757)
G.B. Bononcini (1670-17479, L. Leo (1694-1744)
N. Fiorenza (?-1764), G. Giacomelli, (1692-1740)

Informazioni sull'album

Accanto ai compositori, all’inizio del XVIII secolo iniziarono a mettersi in evidenza i primi grandi cantanti, che in alcuni casi assursero – soprattutto nel caso dei castrati, come Senesino e Farinelli – al rango di star internazionali. Tra di essi merita di essere citata Francesca Cuzzoni, soprano nata a Parma nel 1696 dalla vita molto avventurosa, per la quale Georg Friedrich Händel compose a Londra ben 13 opere. Oltre che per il suo straordinario virtuosismo vocale, la Parmigiana – come era conosciuta – si mise in luce anche per le sue intemperanze caratteriali, che le valsero fieri rimproveri da parte di Händel e che la portarono a un vero e proprio scontro fisico in scena con la rivale Faustina Bordoni. In coincidenza con la nomina di Parma a Capitale Italiana della Cultura per il 2020, la Elegia Classics ricorda questa grande interprete con un attraente disco che ripercorre le tappe salienti della sua inimitabile carriera, con una bellissima silloge di arie tratte dalle opere di alcuni dei compositori più famosi dell’epoca, da Giovanni Bononcini, agguerrito rivale a Londra di Händel, a Geminiano Giacomelli, autore oggi quasi dimenticato e autore di arie dallo sbrigliato virtuosismo, e dal fiorentino Francesco Veracini al pugliese Leonardo Leo. Il ruolo di Francesca Cuzzoni viene degnamente ricoperto da Lucia Cortese, recente protagonista di un disco dedicato alle cantate di Benedetto Marcello, che per l’occasione viene accompagnata dall’ensemble di strumenti originali Trigono Armonico diretto da Maurizio Cadossi.

Altre notizie su questo CD
Registrato nel mese di ottobre 2019, presso il Castello della Musica di Noceto, Parma, Italia
Booklet di 20 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Contiene i testi delle arie
Contiene la biografia dell'artista
Include un commento musicologico.

Arianna abbandonata & other Cantatas

Artisti
Camerata Accademica
Lucia Cortese, soprano
Paolo Faldi, direttore
Compositori
Benedetto Marcello (1686-1739) 
Alessandro Marcello (1684-1747)

Informazioni sull'album

Quando si pensa al repertorio barocco veneziano, il pensiero corre spontaneamente ad Antonio Vivaldi e alle sue celebri Quattro Stagioni, dimenticando che per molto tempo questo ambito venne identificato con altri autori come Benedetto Marcello – al quale è intitolato il Conservatorio della città lagunare. Per questo motivo, la Elegia Classics ha deciso di dedicare il secondo volume della sua serie Glories of the Italian Cantatas a Marcello, patrizio veneto dai molteplici interessi, che oltre alla musica si dedicò con profitto all’ambito letterario, scrivendo Il teatro alla moda, una spietata satira sui protagonisti dell’ambiente musicale veneziano dei primi anni del XVIII secolo. In campo musicale, Marcello ci ha lasciato oltre 300 cantate di pregevole fattura per voce e basso continuo con o senza strumento obbligato, di cui questo disco presenta tre brani di grande bellezza, tra i quali si segnala Arianna abbandonata, una lunga cantata nella quale Marcello rivisita con grande originalità il mito di Teseo e Arianna. Il programma è completato da Irene sdegnata di Alessandro Marcello, fratello maggiore di Benedetto. Queste opere pochissimo note vengono proposte nell’interpretazione di Lucia Cortese, uno dei soprani barocchi più interessanti dell’ultima generazione, accompagnata dall’orchestra barocca padovana Camerata Accademica, diretta con piglio e molto buon gusto da un ispirato Paolo Faldi.

Altre notizie su questo CD
Registrato a 24bit/88.2kHz nell'Auditorio Pollini di Padova i giorni 4, 5 e 6 luglio 2019
Booklet di 20 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Testi delle cantante
Contiene la biografia dell'artista
Include un commento musicologico.

Correa nel seno amato & other Cantatas

Artisti
Trigono Armonico,
Maria Caruso, soprano
Maurizio Cadossi, direttore
Compositore
Alessandro Scarlatti (1660-1725)

Informazioni sull'album

La Elegia Classics inaugura una nuova serie dedicata alla cantata italiana, che la vedrà al fianco della Società Italiana di Musicologia e ad alcuni dei cantanti e degli ensemble di strumenti originali più interessanti del panorama musicale italiano. Il primo volume è – potremmo dire doverosamente – incentrato su Alessandro Scarlatti, che nel corso della sua lunga carriera compose oltre 700 cantate, spaziando dalle delicate atmosfere arcadiche, a lavori basati su temi mitologici e a brani dal carattere decisamente drammatico. Le opere presentate in questo disco rivelano le due caratteristiche principali dello stile del grande compositore palermitano, ossia un inesauribile talento melodico e una scrittura complessa e molto elaborata, che guarda ancora ai modelli del passato. Il programma parte da Correa nel seno amato, una pagina molto nota, che molti considerano tra i capolavori più emblematici della produzione di Scarlatti, per arrivare a due cantate proposte in prima registrazione mondiale, la breve Benché o Sirena bella e Dove fuggo, a che penso. Questo disco segna il debutto nel catalogo della Elegia Classics del soprano Maria Caruso e dell’ensemble Trigono Armonico, diretto dal violino da Maurizio Cadossi.

Altre notizie su questo CD
Registrato il l 6-7 luglio 2019, presso il Castello della Musica di Noceto, Parma, Italia.
Booklet di 24 pag interamente a colori con testi in italiano e inglese
Contiene i testi delle cantate
Contiene la biografia degli artisti
Include un commento musicologico.

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